SI CHIAMAVA  SAMY. racconto breve

06.09.2022

La prima volta che lo vidi subito fece in me un impressione particolare.

La sua pelle marroncina e il suo completo nero largo comprato sicuramente in qualche superstore economico. 

Era salito al mio piano, dove volgevo il mio palloso lavoro di ufficio, affinché lo guidassi nell'analisi delle sue prime pratiche. Lavorava veloce per fare vedere che aveva capiva come si faceva quel mestiere, ed effettivamente era molto bravo. Non passarono neanche molti minuti che capí che non doveva avere soggezione di me...sono sempre stato un tipo molto tranquillo, che non se la prende mai. 

Mi ricordo che quando doveva copiare qualcosa col computer, dato che il nostro PC aziendale aveva ctrl più a destra del normale mi disse "questo tasto non lo imparerò mai". Ma non era vero. Passo non molto tempo prima che si fece un nome nell' ufficio. Era l'esperto della tecnologia, metteva le sue skills ed il suo sapere alla disposizione di tutti; aiutandoci in svariati modi.

"dai agli altri, aiuta e gli altri si ricorderanno di te" diceva.

Ricordo che, per quel poco che mi mostravo disponibile al dialogo in ufficio mi diceva che voleva fare un milione di euro, mi fece pure vedere una lista di start app che avrebbe potuto creare....alcune erano già fallite ma l'obiettivo era cristallino nella sua mente.
Mi parlava del suo portafoglio azionario ( tutto sbilanciato sul cinema) e di quanto fosse triste vivere a Lodi.
Non ho mai approfondito con lui il rapporto, nonostante penso che le nostre anime, in qualche vita precedente si fossero già incontrate perché mi risuonava come persona. Mi invitava, specie negli ultimi giorni, a mangiare con lui; diceva "almeno una volta vieni a mangiare con noi"! Ma il noi includeva anche gli altri colleghi dell'ufficio, che ai miei occhi ( forse troppo severi) rappresentavano tutta la debolezza e miseria della vita conformista. Io avevo bisogno di uscire, di respirare per quella misera ora di pausa pranzo aria diversa, uscire da quei rapporti sociali pessimi e finti: ipocriti e conformisti.
Rapporti fatti di sorrisi e finta felicità: che si palesò quell' ultimo giorno in cui Samy decise di andarsene dall'ufficio.


Ci mettemmo tutti in corridoio per vederlo andare via. Il suo vicino di lavoro, con cui era entrato insieme ed aveva passato molto tempo con lui lo saluto con un flebile" ciao Samy". Poi andò via.

 Durante i saluti non parlava tanto, gli altri gli dicevano " ci rivedremo!" "Facciamo insieme qualcosa; tipo un aperitivo"! Ma quell' aperitivo tutti sapevano che non sarebbe mai arrivato; semplicemente perché non c'era stato per nessuno che in passato aveva lasciato il team.

L'unico, il primo sentimento vero che sentii li dentro era all'atto della addio di Samy, quando eravamo tutti a salutarlo in corridoio. Ma non era un sentimento di dispiacere. Era il sentimento con cui i galeotti salutano il primo che esce dal carcere. Un sentimento di prigionia, dove chi va via è libero e  chi rimane è schiavo. Come quando un gladiatore salutava i suoi compagni d arme perché aveva vinto un duello, oppure quando un commilitone si feriva e abbandonava il fronte.
Evidentemente la nostra condizione di lavoratori è la stessa dei galeotti o dei militari.

Come negli addii che si vivono in carcere eravamo tutti fuori nel corridoietto per  vederlo andare via. Perché il lavoro è un carcere, e sia sta come in prigione, dive aleggiano frasi del tipo i ci rivedremo dopo il lavoro, dopo il natale dopo...

ma quanti nomi se ne erano andati via e mai più si son fatti vedere.

E anche lui.

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