Semi antichi e sentieri nuovi

08.06.2025

Nel silenzio di un campo che cresce, c'è un segreto che pochi conoscono. Molti dei semi che oggi troviamo nei negozi sono chiamati ibridi F1. Apparentemente forti, produttivi, uniformi. Ma sotto la superficie c'è un limite profondo: questi semi non si possono tramandare. Danno solo una generazione, poi si perdono. Sono sterili o generano piante con caratteristiche imprevedibili, inutilizzabili per il raccolto successivo. E così ogni anno, chi coltiva è costretto a ricomprare.

Questo ciclo innaturale non è frutto della natura, ma dell'industria. Sono poche, potentissime aziende a produrre questi semi, decidendo cosa può crescere e cosa no. Così facendo, si spezza la biodiversità: varietà antiche, adattate ai nostri territori, scompaiono. Si perde memoria, si perde resistenza, si perdono nuove combinazioni, si perde libertà.

Coltivare semi antichi, invece, significa resistere. Significa custodire la diversità delle forme, dei colori, dei sapori. Ogni seme tramandato è un atto di fiducia nella vita. Una pianta che nasce da un seme libero non è solo una pianta: è un'espressione autentica di ciò che è, senza forzature, senza maschere.

E forse anche noi, come quei semi, dovremmo imparare a non farci incanalare in schemi imposti. Dovremmo riconoscere che la vera ricchezza è nella diversità: nei sogni che non seguono le strade tracciate, nelle persone che non si piegano agli stampi della società, ma fioriscono a modo loro.

Difendere la biodiversità non è solo una battaglia agricola. È una battaglia umana.

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