Libertà e Vita

20.12.2021

Sento molto potente in me un anelito di libertà e sento come vi sia un bisogno di libertà per la società tutta. Sento come questa ricerca di libertà sia fondamentale, importante, essenziale, soprattutto oggi che la libertà è schiacciata e repressa ma allo stesso tempo sembra voler emergere, quasi esplodere scacciando via i macigni che la opprimono e pare raggiare sempre più decisamente e impazientemente attraverso le pietre che la coprono. La libertà è per me importante perché riguarda la nostra vita e per me è essenziale ciò che riguarda la vita e l'esistenza in tutte le sue forme. Quindi di questo voglio parlare e voglio accantonare tutti quei discorsi superflui, futili che riempiono le televisioni, le scuole e la società. Discorsi lontani dalla vita e dalle domande che dimorano dentro di noi, lontani dai nostri aneliti, dai nostri bisogni. Discorsi buoni per ammazzare il tempo, tempo che forse sarebbe meglio vivere.

Nella nostra società vi è una oppressione della libera creatività umana, dell'espressione umana, della emozionalità e della sentimentalità umana. L'oppressione, l'indottrinamento, l'immersione nell'inconsapevolezza e nella dimenticanza del proprio vero sé iniziano da subito, da quando nasciamo. L'educazione che ricevono i bambini, almeno la maggior parte, è di tipo autoritario: è orientata all'inserimento nelle gerarchie, nei gradoni e nelle scale del potere, non è orientata all'umanità, all'espressione ed alla valorizzazione umana. Il bambino non viene visto per quello che realmente è, potremmo addirittura dire che il bambino non viene visto. I genitori infatti non vedono il bambino per quello che è, ma vedono il bambino solo in base alle proiezioni sociali, vedono il bambino solo in base a quello che la società vuole che il bambino diventi. Il bambino non viene spronato ad esprimere sè stesso, per quello che è, non viene accompagnato nella sua esplorazione, viene piuttosto inquadrato: gli viene detto cosa deve essere, cosa è bene che lui faccia, gli si dice che non deve fare confusione, che non deve urlare, che deve leggere, studiare, che deve stare seduto parecchie ore al giorno, che deve obbedire, che deve stare in silenzio e tranquillo. Se farà tutto questo, sarà chiamato "bravo"; la sua esplorazione viene pesantemente inibita: spesso i bambini nella nostra società vivono in appartamenti molto piccoli e brutti, asettici, dove non vi è nulla di interessante, ma tutto è noioso e artificiale; vivono in città rumorose, grigie, dove la natura e l'esistenza sono quasi del tutto assenti. E cari lettori, che spreco immane è questo? Perché l'infanzia non viene valorizzata, perché non si lascia che i bambini siano... i bambini dovrebbero essere la guida per noi adulti, non siamo noi che dobbiamo insegnare loro come vivere, ma loro devono insegnarlo a noi...perché li dobbiamo "educare", li dobbiamo limitare e bloccare? Ma questo è solo l'inizio dell'opera della società. Ecco che arrivano le scuole; in questi edifici spesso lugubri i bambini e poi i ragazzi devono passare ore ed ore seduti a seguire lezioni spesso noiosissime, lontane dai loro problemi e dai loro interessi, dai loro desideri e dai loro sogni. Il contatto con la natura è inesistente, ed anche il contatto con i compagni è molto ridotto e per nulla agevolato, anche a causa dei ridotti intervalli e dei luoghi asettici e freddi. I professori spesso nelle scuole sono svogliati, assenti, senza carica, senza vitalità e così prosciugano la vitalità anche degli studenti. Le lezioni sono cattedratiche e le attività fisiche e pratiche sono molto ridotte. Tutto ciò a mio avviso è molto grave: nell'età scolare i ragazzi dovrebbero vivere pienamente, dovrebbero giocare, correre, esplorare, stare nella natura, stare molto fra loro, fare amicizie, amarsi, appassionarsi. Dovrebbero passare i giorni fra gli alberi, parlando fra loro, esprimendo la loro energia, la loro vitalità, non stare seduti annoiati ad ascoltare una lezione che non capiscono e di cui non gli interessa nulla, non dovrebbero essere tristi, spenti, demoralizzati, depressi, cinici, invischiati nella competizione, interessati alla carriera, ai voti, alla reputazione, a queste cose morte e noiose, adatte a chi è già morto, a questi orpelli del potere. Che spreco di vita e di felicità è questo? Questo dovrebbe essere il primo problema di cui parlare. Giovani che leggete questo giornale, studenti di scuole medie, licei, universitari, ribellatevi, ribellatevi alle ore di studio e di compiti noiosissimi. E non vi voglio dire di ribellarvi con la violenza, il che vi renderebbe uguali al sistema e cioè violenti; vi voglio dire di ribellarvi non essendo come il sistema, non ricercando il potere, non essendo ambiziosi, competitivi, ansiosi; non ricercando i titoli ed i riconoscimenti sociali utili per scalare la società ed avere un buon lavoro, essere rispettati ed avere potere; vi voglio dire di ribellarvi essendo gioiosi, sensibili, vivendo pienamente, giocando, amando. I professori sono spesso lontani da questi ragazzi, nelle loro lezioni non ascoltano i loro problemi, non gli lasciano voce; spesso si preferisce l'autorità: il professore deve essere rispettato, ed ecco che scattano note, sospensioni, brutti voti e tutte le altre sanzioni punitive, che rispettano molto bene il modello autoritario, su cui evidentemente la scuola è fondata. Una scuola non autoritaria non sarebbe un edificio, ma sarebbe nella gioia che vi è nel cuore, nei corpi e nelle menti dei ragazzi, nella vita che vi è in essi. Questa gioia e questa vita sono l'unica scuola, e in questa scuola non sono i bambini e i ragazzi gli studenti, ma sono gli adulti, i cinici, i businessman, i manager, coloro che si sono scordati cos'è il battito del cuore, l'emozione, la vita. Cari lettori, vedete come la società è autoritaria, basata sull'obbedienza e sul potere, non sulla gioia, sull'uomo e sull'esistenza tutta. Vedete quanta tristezza viene propagata dalla società, che spreco di vita produce questa società? Ma il tutto non è ancora finito. Vi è da dire che usciti dalle scuole superiori o dalle università, i giovani non hanno più molto da perdere: oramai sono spenti, la loro vitalità è del tutto repressa, hanno diversi problemi psicologici... hanno dimenticato cos'è la vita, hanno imparato bene cos'è il potere, cos'è l'obbedienza, cos'è il rinnegare se stessi. Proprio l'aver dimenticato cos'è la vita, la gioia, il mistero li porta a non voler più vivere, a voler ammazzare il tempo, a volerlo intrappolarlo, incasellarlo, per poterlo così dominare. Infatti se rimanessero soli con il tempo e con il suo mistero, con il continuo mutamento, se rimanessero soli con se stessi starebbero male: non sanno più chi sono, hanno paura di stare con uno sconosciuto, uno sconosciuto magari impertinente, che magari gli potrebbe fare alcune domande scomode come ad esempio: "non è che hai dimenticato qualche parte di te", o ancora " la vita che stai conducendo è piuttosto spenta, noiosa, perché non gioisci più?"; l'aver dimenticato cos'è la vita li porta a perseguire scopi materiali e il potere dominio, perché compensano la mancanza di essere con l'avere, con gli oggetti; e questi oggetti sono pregni di morte, traspirano morte ed eredità e talvolta sembrano sussurrare che sopravviveranno al possessore. Ecco che i giovani per divertirsi hanno bisogno di droghe ed alcolici per dimenticarsi di sè (vedi il saggio la società della droga dell'associazione occasus); ed ecco che arriva il lavoro. I giovani cominciano a lavorare, entrano in ambienti cinici, asettici e freddi, pieni di pigrizia e svogliatezza, e marciscono sulle loro postazioni di lavoro. Il tempo scorre veloce, ed i giorni diventano quelli del calendario: insignificanti, misurabili, equiparabili, interscambiabili, vendibili. Giorni scambiati per denaro, ed ecco che il tempo diventa denaro, diventa oggetto, merce. Non vi è più vita, ma oggetti; la vita è esiliata. I giovani impiegano tutta la loro giornata a lavoro e fra pensieri riguardanti il lavoro, e non trovano più tempo per vivere. Il lavoro si configura in questo modo in una moderna schiavitù. Il problema è che i giovani e poi gli adulti ricercano questa schiavitù, hanno bisogno del lavoro come di uno psicofarmaco, di una droga, di un calmante: ne hanno bisogno per sfuggire da sé stessi, per non percepire il vuoto e la noia. Ora vorrei fare una breve digressione per illustrare perché il lavoro è una schiavitù e contribuisce ad alimentare il potere nella società. Ebbene, un tempo gli uomini avevano il potere su ciò che gli garantiva la sussistenza: avevano la natura, la raccolta e poi, dal neolitico, il loro campo, che gli garantivano il cibo, conoscevano l'artigianato col quale fabbricavano i loro vestiti ed il loro mobilio, conoscevano come costruire case; con un po' di baratto si riusciva ad avere tutto ciò che serviva. Gli uomini quindi erano indipendenti, nessuno aveva potere su di loro ed essi non erano schiavi di nessuno. Successivamente però è arrivata la rivoluzione industriale e vi è stato l'avvento delle macchine: la produzione si è centralizzata, ed i mezzi di produzione e la produzione stessa sono finiti nelle mani di poche persone. Mi spiego meglio: sono sorte poche fabbriche dove si fabbricavano i beni per le masse; allo stesso tempo le macchine nel campo agricolo hanno permesso che meno persone fossero necessarie per i lavori agricoli. I boschi sono stati tagliati, le terre sono diventate proprietà di poche persone, molti terreni sono stati espropriati dagli antichi coltivatori, e così i raccoglitori ed i contadini si sono riversati nelle metropoli. Ecco che così persero il potere su ciò che gli dava il cibo ( la natura, la raccolta, l'agricoltura). Questo potere è stato delegato ad altri, alle aziende. Allo stesso tempo hanno perso l'abilità e le capacità di fabbricarsi ciò che gli serviva. Ecco che così gli uomini si sono ritrovati chiusi in striminziti appartamenti nelle metropoli, senza più potere ed indipendenza, senza più capacità. Le macchine hanno sostituito molto del loro lavoro ed essi sono diventati solo ingranaggi delle macchine (pensiamo ai lavori di fabbrica ripetitivi, alla catena di montaggio); attraverso le macchine la produzione ed il potere si sono accentrati. Gli uomini sono diventati consumatori, cioè individui senza capacità che dipendono dal sistema. Ora, gli abitanti delle città, una volta persa la loro indipendenza, avevano pur sempre bisogno di mangiare. Così ecco che il loro unico modo per ottenere i mezzi necessari per la sussistenza era vendere il proprio tempo, insomma vendersi. Ed ecco il lavoro: il lavoro consiste nel vendersi, nel vendere il proprio tempo e la propria vita a qualcuno che ha potere su di noi, perché detiene la produzione e ciò di cui abbiamo bisogno. Quindi il lavoro è schiavitù, è servizio, è dipendenza. Il modo per comprare il tempo altrui è il denaro, quella cosa magica che permette di acquistare tutto. Il denaro racchiude in sé la morte, perché compra la vita altrui. Dentro il denaro vi è racchiusa la vita ed il tempo delle persone, ecco perché vi si è così attaccati. Il denaro può avere un ruolo solo se vi è qualcuno che ne ha bisogno, perché non ha ciò che gli serve, perché non possiede i mezzi di sussistenza. Ecco che quindi il denaro ha un ruolo immenso in una società dove le masse, come abbiamo detto, non hanno il potere su ciò che da loro da vivere. Possiamo citare quella frase del libro di Ruskin unto this last parafrasato da Gandhi in cui si dice che la ricchezza dipende dalla povertà altrui (se nessuno ha bisogno dei miei soldi, essi non hanno alcun valore; e, allo stesso tempo, se io ho molte fabbriche e molti campi ma nessuno che vi lavora, perché nessuno ha bisogno dei miei soldi e nessuno intende vendermi il proprio tempo, cosa me ne faccio dei miei beni?), e poi possiamo citare quell'altra fase, a mio avviso potentissima e disvelatrice, che dice che sotto il desiderio di denaro e di ricchezza, alla fine, vi è il desiderio di potere sugli altri e sul tempo altrui. Ora è bene specificare che la schiavitù del lavoro non è creata solo dalla mancanza di potere e di indipendenza su ciò che può dare i mezzi di sussistenza. L'industrialismo ed il consumismo infatti hanno generato altri modi per rendere le persone schiave di questo sistema, schiave del denaro. Le industrie infatti inducono nelle persone il desiderio per le loro merci, merci spesso superflue. Per comprare queste merci vi è bisogno di denaro, e quindi comprando queste merci si acquista la propria schiavitù. Inoltre il sistema diffonde l'idea di un alto standard di vita, di una vita piena di beni di consumo futili, di una vita fatta di uscite al ristorante, in bar, pub, di shopping, di vacanze, di discoteche; tutte cose costose e che ci rendono sempre più dipendenti e schiavi del sistema. Senza considerare il fatto che molte persone, pur non spendendo molti soldi, sono lo stesso schiave per il semplice fatto di avere una casa o di mangiare. Pensiamo ad una persona che guadagna mille euro al mese: bene, deve pagare l'affitto ( 500 euro), deve comprar da mangiare ( 100 euro), deve pagare le bollette( 100 euro), deve pagare i mezzi di trasporto( 50 euro), deve pagare varie altre tasse e spese( spazzatura, bollo e assicurazione auto, abbonamento telefono). In sostanza non gli rimane nulla e diviene schiava del lavoro. Ma la cosa sconcertante è che ormai l'industrialismo e il consumismo sono così radicati nella nostra società che anche chi ha del denaro si invischia nella schiavitù del lavoro. Così ecco che vi sono persone di famiglia ricca che vanno a studiare in università costosissime e poi vanno a fare noiosissimi, inutili e forse anche dannosi lavori in ufficio. Quindi ormai quello del lavoro è divenuto un dogma col quale le persone nella nostra società vengono indottrinate e sembra essere divenuto un elemento imprescindibile e fondamentale della vita. Ma questo lavoro, a mio parere, come ho cercato di spiegare, è una schiavitù, perché nasce dalla dipendenza, perché si basa su rapporti di potere (lavoratore-datore di lavoro, possessore mezzi di produzione; o in ogni caso dipendenza dal denaro). Inoltre questi lavori sono spesso inutili o anche dannosi. Il lavoro utile è quello che ci dà da vivere (raccolta, agricoltura) e quello che ci permette di esprimerci, di svilupparci.

E così ecco che passiamo in schiavitù tutta la giovinezza, tutta l'età adulta, matura fino a che non arriviamo alla vecchiaia. Ecco che passiamo questi anni di lavoro fra nervosi, esaurimenti, frustrazioni; passiamo gli anni invischiati nelle abitudini lavorative; il tempo ci scorre addosso veloce e leggero, non rimaniamo mai un momento con noi stessi, con gli altri, non viviamo mai. Passiamo i nostri anni chiusi in un ufficio, in un negozio, in uno studio, contribuendo ad un sistema dannoso e violento. Non ci accorgiamo della bellezza della natura, non gioiamo, non amiamo, non proviamo la gioia di essere giovani, adulti, maturi ed anziani; non cogliamo i bei frutti di queste età: l'indipendenza, la forza, la bellezza, la fierezza, la saggezza, il declino. Perché dobbiamo passare i nostri anni in modo spento, chiusi in appartamenti e uffici, immersi nell'inconsapevolezza senza mai gioire dell'esistenza, senza mai provare amore, emozioni, concedersi ai sentimenti? Non è scritto da nessuna parte.

A limitare poi la nostra libertà vi sono le credenze ed i dogmi inculcati in noi dalla società, come ad esempio il dogma del lavoro. Infatti ci viene detto che il lavoro è una componente fondamentale ed ineludibile della vita, ci viene detto che dobbiamo fare carriera, ed ecco che così entriamo sulle strade del potere e dell'avere e rinunciamo all'essere. Infatti una persona nella nostra società è indotta a vedere il lavoro e le giornate sprecate a lavoro come un qualcosa di naturale e necessario, che non metterà mai in dubbio; questa persona non penserà che nella vita vi è altro, come ad esempio il passare il tempo che passa a lavoro nella natura o con gli altri. Quindi ecco che quello del lavoro si configura come un dogma. Poi vi è il dogma del materialismo. Questo dogma ci spinge a vedere il tutto in modo materiale e superficiale e non ci fa percepire la spiritualità , la gioia mistica, le emozioni, il mistero profondo che vi è nelle cose. Siamo indotti a vedere il tutto in un'ottica materiale, compresi gli altri. Ricerchiamo i piaceri ed il benessere materiale e ci scordiamo di tutto ciò che vi è di spirituale. Devo precisare che con il termine spirituale non intendo richiamare la sfera religiosa, ma voglio far riferimento ad una visione che vede nelle cose , nelle persone e nelle relazioni qualcosa oltre ciò che vi è di materiale, misurabile, quantificabile, sondabile dalla scienza, voglio richiamare quel mistero, quella profondità, quella poeticità che vi è in tutto. Collegato al dogma del materialismo vi è quello del consumismo: nella nostra società siamo abituati a consumare, a buttare via tutto anche se non è necessario, a creare rifiuti; siamo indotti ad avere molti desideri d'acquisto, molti desideri costosi; avendo molti desideri, consumando molti beni che hanno un prezzo noi sperperiamo i nostri soldi e diveniamo schiavi del denaro e quindi del lavoro. Ma noi siamo consumisti anche con le persone e con le relazioni: abbiamo relazioni che si fermano alla superficialità, all'utilità ed al piacere che possono dare al momento e che poi vengono scartate e diventano rifiuti. Collegato a questi dogmi vi è il dogma dell'estetica: le persone si preoccupano molto della loro estetica e del loro corpo, perché sentono che è l'unica cosa che viene vista e a cui viene dato valore in questa società. Questo crea molte ansie, preoccupazioni e competizione fra le persone sul punto di vista estetico.

La nostra società quindi ci induce a condurre delle vite piatte e mediocri: ci induce a spendere i nostri anni a scuola ed a lavoro, ci induce ad essere materialisti, consumisti, superficiali, senza profondità. Per comprendere tutto ciò pensiamo anche alla televisione, ai giornali, insomma alle idee ed al discorso pubblico: tutto è mediocre, volgare , superficiale; non vi sono mai discussioni profonde, libere, che spronano l'uomo ad esprimersi. In televisione si parla di calcio, di gossip, di politica da quattro soldi; questi sono i discorsi che vengono diffusi da giornali e televisioni, questi sono i discorsi che circolano fra le persone. Le persone così pensano al calcio, al gossip, pensano alle macchine, alla loro bella macchina( guai a chi gliela tocca), o ai videogiochi e alle serie tv. Non vi è mai uno spazio di libertà e profondità, di vera interiorità. Questo è il dogma della mediocrità. La società non vuole che le persone siano profonde, autentiche, originali: chi lo è, è criticato, escluso, dà fastidio.

Un'altra limitazione alla nostra espressione è la mancanza di relazioni profonde tipica della nostra società. Penso che questo fatto sia un po' connaturato alla struttura della società. Infatti nelle campagne non vi sono più comunità, tutti sono andati nelle città, e le campagne sono rimaste disabitate o con pochi abitanti anziani. Le città sono luoghi molto chiusi, molto separativi. Infatti in esse vi sono i condomini dove le persone vivono separate le une dalle altre in piccoli appartamenti. Possiamo anche riflettere sulla parola appartamento, che suppongo derivi dalla parola appartarsi: le persone vivono appartate, recluse nei loro monolocali. Le famiglie si sono spesso sfaldate, vi sono sempre meno bambini, le persone tendono a voler vivere da sole, i figli vogliono infatti andare a vivere lontano dai genitori; così ecco che vi sono un po' di persone che vivono da sole nei monolocali. Inoltre nelle città non vi sono luoghi di aggregazione, le persone sono oberate di impegni (che spesso ricercano, foss'anche inconsciamente, loro stessi) e dunque non hanno tempo per stare con le persone, non hanno tempo per approfondire le relazioni; infatti le persone devono passare molte ore della loro giornata nelle scuole, sui posti di lavoro, e qualcuno fa anche sport ed altre attività. Ecco che questa struttura della società rende molto difficile avere amicizie e relazioni profonde. Prima di fare un incontro fra amici ognuno deve vedere che impegni ha e l'incontro si farà solo se non vi sono altri impegni; spesso infatti le amicizie sono in fondo alla gerarchia degli impegni. Le amicizie diventano vuote, piatte, interscambiabili, ci si vede per fare un aperitivo, per una festa, si parla degli argomenti dati dalla società, ci si parla e si ride ma è come se si fosse fra estranei, in realtà non ci si conosce. Un altro fattore che rende difficile trovare amicizie e il pensiero competitivo che vi è nella nostra società e la forte attenzione che vi è alla carriera personale, che rendono ogni persona molto incentrata su sè stessa e con poco tempo e spazio mentale per stare in modo profondo con gli altri. A dividerci ulteriormente vi sono i dispositivi tecnologici. Gli smartphones ci tengono sempre lontano dal luogo e dalle persone con cui siamo, ci tentano di rinchiudere nel loro mondo di social network e nella loro bolla di stimoli (pensiamo ai video di tik tok per catturare l'attenzione). Poi vi sono gli audiovisivi che ci tengono vicini ad uno schermo per ore e lontani dalle persone.

Eppure le relazioni sono una cosa molto importante nella vita dell'uomo, e molti pensatori e saggi ci dicono addirittura che la nostra felicità dipende dalla qualità delle nostre relazioni (pensiamo a Mauro Scardovelli); l'amore e l'amicizia sono un qualcosa di fondamentale per gli uomini.

Come vedete, cari lettori, la società pare avere paura della vita e della libertà. Sembra volerle recluderle, allontanarle. È come se la società temesse la vita per la sua imprevedibilità, per la libertà che è in essa, per i rischi che derivano da essa. È come se gli uomini temano la vita per il suo continuo mutare, per la sua incalcolabilità, per la sua imponderabilità. Perché nella vita vi è sempre la morte. La società si è così allontanata dalla vita, spaventata, ha barattato la libertà con la sicurezza. Alla vita gli uomini hanno preferito il potere, l'avere.

Così, siamo arrivati alla conclusione. Abbiamo visto le schiavitù e le limitazioni della nostra società, abbiamo cercato di comprenderle. Adesso però, sarebbe bello, una volta che le abbiamo viste e accettate,che ci spogliassimo di queste schiavitù, ci togliessimo queste catene...cari lettori, cerchiamo di vivere liberamente, pienamente, cerchiamo di condurre una vita diversa da quella che ci vuole dare la società, cerchiamo di vivere una vita autentica. Una volta che ci saremo liberati da queste schiavitù, allora saremo liberi, saremo nudi, saremo semplicemente e solamente noi stessi; non ci saranno più illusioni, non sprecheremo più la nostra vita inseguendo cose inesistenti o asserviti a qualcosa, non parleremo più di cose inutili, mortuarie, non cercheremo più di ingannare il tempo o di ammazzarlo, non cercheremo più di passare velocemente e nell'incoscienza le giornate col terrore di rimanere con noi stessi, senza nulla da fare e con a fianco la noia...niente di tutto ciò, vivremo! Vivremo la vita vera, le emozioni, i sentimenti, i dolori, il tempo! Liberi, saremo semplicemente noi stessi, e saremo a fianco della vita reale. Non ci saranno più grandi filosofie, grandi astrazioni, saggi complicati. L'unica filosofia sarà la vita, le uniche parole saranno di venerazione e contemplazione della vita, saranno poetiche...Liberi, essendo noi stessi, potremo assaporare la vita, insieme, gli uni accanto agli altri, da fratelli e sorelle, amandoci.

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