La spiritualità della coltivazione naturale

08.06.2025

Coltivare un orto può sembrare una cosa banale, una cosa elementare… eppure, nella nostra visione, ciò costituisce un atto di liberazione, forse l'unico o uno dei pochi davvero sostanziale, davvero autentico.

Perché? Perché la terra, l'humus, quell'insieme di briciole nere, è la base della nostra economia, è parte di quei beni essenziali contemplati dallo ius naturale come l'aria, come l'acqua… La terra è la nostra casa.

La terra è la struttura, le ossa della nostra economia. Le fabbriche, le multinazionali, i grattacieli sorgono su essa, sulle fondamenta della nostra economia. Per questo, per quanto belli ed utopici possano essere i discorsi, le ideologie sono solo idee, solo parole: la realtà, invece, è la terra stritolata, urlante, sanguinante. Perché la terra, in questo momento piange, lottizzata, sfruttata, devastata dai trattori, avvelenata dai prodotti chimici.

Cerco di spiegarmi meglio. Se ognuno coltivasse la terra, o meglio, se ognuno lasciasse crescere rigogliosa la terra, non ci sarebbe povertà, perché tutti avremmo di che mangiare, avremmo un ambiente sano in cui vivere. Il problema sorge quando qualcuno si impossessa della terra ed esclude gli altri dal suo godimento. Quando ciò avviene, colui che si trova senza terra, diventa povero, indigente ed allora ecco che dovrà servire colui che gli ha sottratto la terra per avere in cambio quattro miseri alimenti che il "padrone" vorrà concedergli. Ecco qui spiegata la genesi, l'essenza del denaro, del soldo: il potere. Perché il povero avrà bisogno dei soldi che il padrone gli concederà per vivere, per comperare le sue merci. Ecco che il valore del denaro nasce dalla povertà, dalla povertà artificiale creata da questo appropriamento ed accentramento delle risorse, di quello che la natura spontaneamente ci offre, di quello che per ius naturale è nostro. Ecco che denaro vuol dire oppressione, denaro vuol dire dominio, denaro mio vuol dire povertà tua…

Queste sono le fondamenta marce su cui è eretto tutto il nostro sistema, esploso ed esacerbato poi nelle rivoluzioni industriali e nel dominio materialistico della scienza e della tecnica. Oggi la terra è divisa in grandi lotti, coltivati tramite macchinari pesanti, costosi, distruttivi ed inquinanti come i trattori e con la chimica. Si applica la monocultura, si utilizzano semi F1 creati in laboratorio per ottenere la varietà della pianta più redditizia, uccidendo la biodervisità, uccidendo la terra… non è raro vedere i campi vittima dell'agricoltura intensiva simili a deserti, spianati e spogliati di tutto, a cui è permesso solo produrre ciò che l'uomo vuole, ciò che l'uomo impone, ciò che l'economia richiede.

È questa base dell'economia che rende le società dittatoriali, autoritarie, gerarchiche, che abbiano un governo democratico o dittatoriale (certo non nego che alcune forme di governo possono esacerbare in senso negativo l'autoritarismo intrinseco nella società). Ciò viene anche sostenuto nel trattato sull'economia gandhiana di J. Kumarappa che propone come antidoto l'economia basata sulla non violenza di Gandhi. Gandhi si chiedeva cos'è ciò che rende violenta l'economia? Certamente l'accentramento dei mezzi di produzione, cioè sottrarre i mezzi attraverso cui si producono i beni (tra cui il principale è la terra) alle persone per concentrarli in una azienda, in un padrone etc. Questo come già spiegato crea povertà, servitù etc. Ci sono altre cose che rendono violenta un'economia, come l'utilizzare risorse non presenti nel proprio territorio e sottrarle ad altri territori (pensiamo a minerali come il ferro etc.). La soluzione a cui perviene Kumarappa è il decentramento dell'economia, ossia smantellare quell'accentramento di mezzi di produzione sopra descritto e lasciare ad ognuno i mezzi di produzione necessari per il suo sostentamento. Una buona soluzione è per questo l'economia di villaggio, dove ogni villaggio produce, col lavoro manuale dei propri abitanti, ciò di cui ha bisogno, senza dominare gli altri villaggi ma al limite intrattenendo dei piccoli commerci, dei piccoli scambi. Anche Francesco d'Assisi elogiava il lavoro manuale, e non permetteva nella sua regola che si accettasse denaro in cambio del proprio lavoro. Ciò perché concepiva il lavoro come un servizio che viene fatto volontariamente, senza voler nulla in cambio. Ed è proprio questo servizio, questo contribuire perché si vuole, non perché obbligati dalla paura dell'indigenza o del giudizio altrui, che crea un'economia diversa, pacifica, in cui poter essere più felici. E rifiutare il denaro che è il simbolo del potere sugli altri, della schiavitù e sottomissione altrui. Così si potrebbe passare da quella che io definisco un'economia ed un sistema giuridico obbligatorio, in cui ogni azione compiuta verso un'altra persona obbliga quest'ultima a dare qualcosa in cambio, ad un'economia del dono, in cui ogni cosa viene fatta volontariamente senza chiedere nulla in cambio, senza calcolare prezzi o interessi.

Ovviamente anche il proliferare dei bisogni, dei prodotti, dei consumi rende l'economia accentrata, complessa, specializzata ed alienante, rendendo le persone dei meri lavoratori, meri ingranaggi di un sistema complesso, meri passivi consumatori inconsapevoli. Allontana le persone dalla terra, da ciò che consumano. Per questo è importante la semplicità, la condivisione. Se utilizziamo le cose insieme, infatti, non sarà necessario che ognuno ne possegga una copia.

Ecco il senso di avvicinarsi alla terra, alla natura. Ma questo avvicinamento non deve essere motivato dal profitto, il rapporto con la terra non deve essere basato sullo sfruttamento. Per questo è importante avvicinarsi alla terra con metodi naturali, come quello di Fukuoka, di Giancarlo Cappello o di Kutluhan Ozdemir. Cioè è importante non imporre alla natura la nostra volontà, non dominarla tramite la tecnica ma far sì che si liberi, che possa riscoprire la propria fertilità naturale, al massimo indirizzandola minimamente per far crescere gli ortaggi utili per la nostra alimentazione. Perché la natura è molto intelligente, è molto complessa ed è connessa da una serie armonica di relazioni. La mente umana invece spiana, cerca di dominare, controllare, ha una razionalità malsana che si identifica con l'interesse personale, con il profitto e che finisce per creare distruzione.

I terreni, oggigiorno, sono stanchi, esausti, martoriati. Non produrranno più nulla se continueranno a restare sotto il giogo dello sfruttamento umano. Hanno bisogno di riposo, hanno bisogno di rigenerazione. Per questo è così importante tornare alla terra dolcemente, non lasciarla a pochi spaventosi trattori che passano veloci. Tornare alla terra, curarla e far sì che essa ci curi.

Perché la felicità umana sta anche nel rapporto con la natura, nel rapporto totale è armonico con ciò che ci circonda, con gli animali tra cui gli umani e le piante. Un rapporto dove non c'è più l'uomo separato da tutto il resto, il dualismo fra l'uomo e la natura, l'uomo che con la sua razionalità calcolatrice cerca di dominare l'ambiente. Senza più separazione, senza più barriere, in contatto con la natura, con l'immensità della vita. Tornando a casa, nella natura, riscoprendo la nostra animalità fusa col mondo, in umiltà come Francesco.

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