La Salvezza degli Orti: racconto breve

08.06.2025

C`' erano una volta Oliviero, Capellina ed Olindo. Erano tre bestie, cioè per l`esattezza erano due caprette e un uomo. Oliviero era un capro stupendo, che pareva vestito con abiti da re ricamati dai migliori sarti: un pelo variopinto, chiazzato di aranci e bianchi che splendevano lucenti sotto il sole e divenivano caldi e teporosi quando il sole si nascondeva dietro le nuvole o, durante l`inverno, faceva appena capolino sopra la linea dell`orizzonte come volesse sempre e comunque salutare il mondo. È difficile per me ora descrivere Oliviero, perchè lui era talmente vivo che qualunque appellativo gli starebbe stretto. Ma se dovessi scegliere direi che era solare, affettuoso, coraggioso, sempre disponibile. Correva sotto i soli, correva sotto le lune e le stelle, con i suoi zoccoli saliva sulle rocce, si arrampicava ed esplorava ogni anfratto. Come era attento a ogni cosa! Come era gioioso nei suoi salti! Ma allo stesso tempo ad Oliviero piaceva molto avvicinarsi a Capellina ed Olindo, annusarli e stare insieme a loro. Soprattutto adorava sdraiarsi sui manti erbosi, vicino ai fiumi che cantavano, sopra le cascate che scrosciavano, sotto gli alberi che frusciavano, fra le foglie che gialle cadevano, fra le foglie che dorate ricrescevano. Amava sdraiarsi ancor di più se accanto a lui c`era Capellina. Capellina aveva un carattere più tranquillo e pacato. Lo si capiva già dal suo piccolo capo, senza corna, umile. Il suo pelo era come un tappeto corduto, la barba, liscia, le pendeva da sotto il mento donandole un`aria di saggezza. Capellina amava passeggiare per i boschi, fra i fili d`erba rugiadosi, fra i petali umidi dei fiori ancora chiusi attendendo la luce del sole. Amava scalare le rocce lucenti, vedere i pascoli lontani, osservare i cieli. Capellina amava Oliviero, lo vedeva come un esempio stupendo e gioioso da emulare, e spesso gli stava accanto, spesso brucavano l`uno all`altro vicini, o si sdraiavano uno vicino all`altro, e lei poggiava il suo piccolo capo sulla pancia di Oliviero. Allora, in un angolo remoto del mondo, i due dormivano vicini, e nessun occhio, se non quello di qualche volatile canterino e fuggitivo, mirava questa bellezza, nessuno conosceva di queste due esistenze fuse così splendenti. Eppure loro stavano lì, irraggiando nel mondo la loro presenza. Vivevano in pace, sereni, ed erano amici di tutte le cose, degli alberi che gli facevano ombra, della pioggia che li bagnava e gonfiava i fiumi, del sole timido e del sole potente, delle erbe, delle pozzanghere che riflettevano il cielo splendente, delle stelle e della luna lucente.

Come stavo raccontando, insieme ad Oliviero e Capellina viveva Olindo. Era un giovane molto atletico ed agile. Nessuno sapeva come fosse finito a vivere lì, forse era stato abbandonato dai genitori, forse si era smarrito durante una scampagnata... Lui non ricordava nulla, solo qualche vago ricordo di vie grigie, di palazzi, di rombi assordanti... per il resto, nella sua mente non vi era passato, non vi era futuro, ma solo quel canto degli uccelli, quel rumore delle foglie che cadono, quel silenzio delle notti silenti. Olindo si arrampicava sugli alberi, ne coglieva i frutti, si tuffava nei placidi laghi riflettenti, saliva sui monti e osservava i cieli lontani e sentiva il cuore pieno. La sera, insieme ad Oliviero e Capellina, tornavano sul loro piccolo terreno che avevano scelto come casa. E lo avevano scelto perchè era una striscia di terra meravigliosa. Era un piccolo prato fiorito tutto circondato dagli alberi, che coi loro tronchi parevano formare il contorno di una capanna. Le chiome degli alberi erano fitte, colme di frutti dolci e buoni, e riparavano molto dalla pioggia, dai venti. Era un angolo nascosto dal mondo, un rifugio. La terra era molle, umida, di color nero. Era un piacere toccarla e sotto di essa, in essa, sopra di essa vivevano molti animaletti, lombrichi ed insetti, che in pace compivano le loro numerose occupazioni. Quando il sole splendeva nel cielo, bastava uscire da quelle pareti di tronchi e ci si ritrovava inondati di luce e tepore. E la notte, invece, ad Olindo piaceva salire su Ramello, uno degli alberi, e sbucare sopra tutte le chiome. Allora vedeva le montagne e le valli dintorno, e i laghi che riflettevano l`argentea luce lunare.

Era un bel giorno di primavera, il sole scaldava, le foglie aperte ne accoglievano grate l'energia. Il verde esplodeva ovunque, costellato di candori, rubicondi colori, lillà, viola dei fiori. Correvano i tre. Correvano. Un lago! Rilucente di innumerevoli lumi, franto e ricamato di minuscole onde, di un colore blu e verde e nero e viola insieme, un'urna gigante, fresca, di cui si potevano intuire gli scuri algosi fondali nei quali i pesci come tanti gioielli nuotavano silenziosi nel loro arcano mondo. Olindo corse, il suo corpo si ritrovò fra i flutti spumosi delle sue vigorose bracciate, avvolto da fredde acque calorose e dense, sommerso in quel mondo placido e misterioso delle acque. Oliviero e Capellina si avvicinarono timidamente al lago, si bagnarono i musi, poi esplorarono il greto della riva, le prime erbe, sotto gli alberi, fra i tronchi, fra perle di luce e scrigni di ombre. Si inseguirono l'un l'altro, giocarono a cornate, esplorarono. Olindo uscì col corpo villoso, nerboruto e abbronzato dal lago. Pareva una statua greca, sotto il sole che provvedeva ad asciugarlo. Si stese, arrivarono Oliviero e Capellina. Un quieto profondo immemore sonno li colse. Riaprirono gli occhi verso un cielo rannuvolato, mentre una leggera pioggia crescente li bagnava dolcemente. Presto! Ripariamoci! Quando furono dentro una minuscola grotta Oliviero cominciò a intrecciare dei suoni che aveva inventato per descrivere le cose, e lo faceva in modo dolcissimo. Poi, improvviso, frastuono! Ronzio assordante! Si spaventarono tremanti. Ad Oliviero sovvenirono alla mente suoni che aveva udito da bambino, e sentì un grande dolore sepolto dentro di sé risvegliarsi, e dalle profondità del suo essere piangere. Il rumore, sempre uguale a sé stesso, continuava, meccanico. A volte aumentava spaventosamente di intensità e si tingeva di violenza, di terrore. Come se un qualcosa di orrendo ed empio stesse accadendo. Tornarono alla loro striscia di terra, e più si avvicinavano più il rumore cresceva tremendo. Una volta giunti, tutto era intatto, ma nuovi insoliti fasci di luce ora penetravano decisi la cortina di alberi che circondava quel luogo ameno. Oliviero attraversò gli affettuosi alberi che circondavano il prato, e rimase attonito, devastato, disperato. In quel momento si sentì affranto, franto, frantumato e, dentro di sé, qualcosa si spaccò. Ceruleo, uno degli alberi che lo aveva accompagnato fin da piccolo, stava venendo reciso da una lama urlante: una motosega. Un uomo coperto da monocroma tuta scura, dal volto coperto da paurosa maschera d'acciaio, calzante neri stivali chiodati, imbracciava quel flagello. Olindo scoppiò a piangere, corse verso l'albero, ma come si avvicinò, l'uomo lo spinse via con dura mano guantata. Cadde scaraventato al suolo, poi arrancò, tornando alla sua casa. Oliviero e Capellina gli vennero incontro gementi e lo leccarono. Poi un boato, come se una lama gigante avesse trafitto il bosco. Ceruleo era caduto. L'uomo col suo flagello col calare delle tenebre se ne andò. Ed essi rimasero lì, nel loro caro prato. Una sconosciuta tristezza, una ignota paura era penetrata nei loro cuori. Fecero sogni agitato, mentre gli alberi crepitavano scossi dai venti spiragli sotto un cielo cupo e oscuro. L'indomani, lì svegliò quello stesso orribile suono. Si strinsero vicini, si abbracciarono inermi poiché essi non possedevano armi per contrastare quella apocalisse. Così stretti videro crollare Fiumano, uno degli alberi che circondava il loro prato e, uno dopo l'altro, tutti i suoi fratelli ed amici. La loro casa stava venendo distrutta davanti i loro occhi vitrei, fermi, come bloccati e immobilizzati in un dolore senza voce. Essi stavano lì, come tre tristi statue, sotto la pioggia scrosciante. Ora la luce inondata tutto. E gli uomini se ne andarono. Il giorno dopo il sole, dispiaciuto, scottò il prato ed i tre non avevano più un riparo. Poi altri ronzi, e degli uomini su ammassi di ferro con grosse lame tagliarono tutta l'erba. Poi gli uomini se ne andarono, ed i tre rimasero lì. Ora non avevano più riparo contro i venti. Il giorno dopo Oliviero e Capellina piansero perché non trovavano più erba da mangiare, ed Olindo non trovava più frutti. Il giorno dopo tornarono gli uomini, questa volta su torri d'acciaio con grandi spuntoni, e squassarono e ribaltarono tutta la terra. Poi spruzzarono degli strani liquidi su tutto il terreno. E quando Capellina bevve da quelle acque, subito si ammalò e non si riusciva più a sollevare. Giaceva a terra con un filo di vita ed Oliviero gli stava sempre accanto. Olindo faceva grandi viaggi, andava in terre lontane per procurarsi un poco di erba da portare a Olivero e Capellina. Ed in quei posti lontani serviva uomini arroganti, che lo picchiavano e lo insultavano e lo facevano dormire in buie fredde cantine. Lavorava in fucine ardenti, o con enormi macchinari. Lavorava tanto in cambio di qualche soldo per comprare da mangiare ad Oliviero e Capellina. Un giorno, emaciato e nero per il fumo, torno dalle due caprette con un sacco di fieno ed un dito in meno. Il loro dolce prato non c'era più, non c'era più nemmeno un albero, ma solo una distesa di terra morta, sabbiosa e dura. I tre stavano sempre più male, ed Olindo non reggeva quasi più i lunghi viaggi ed i lavori sfiancanti. Finché un giorno, non videro camminare su un prato una signora, che si chiamava Alma, con tre ragazzi: Maurilius, Duilius e Selenia. Quando i tre ragazzi videro Olindo e le caprette stese avvizzite sotto il sole subito li soccorsero, diedero loro acqua e cibo ed in poco tempo gli costruirono un riparo. Poi i tre ragazzi cominciarono a riportare della terra nera con cui coprire quella desertica che era lì, e successivamente la coprirono con del fieno e della paglia. Spiegarono che volevano aiutare la terra a guarire, perché era gravemente malata e stava per morire. Ed in effetti, quella primavera, la terra si rinverdì, e diverse erbe e coloriti frutti nacquero. Poi, negli anni, crebbero i primi alberi colmi di frutti e poi di anno in anno alberi Sempre più alti. Molte persone venivano ad aiutare la terra a guarire e passare del tempo su quel prato, sotto gli alberi. Ed Oliviero, Capellina e Olindo vivevano ora insieme a Maurilius, Duilius e Selenia. E tornarono forti e felici, e tornarono a correre, ad esplorare i boschi, a raggiungere i laghi lontani, a dormire insieme sotto cieli stellati.

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