Il CICLO DI AKUR  Racconto fantasy Sword and Sorcery

23.01.2022

Il sole sorgeva in lontananza: era l'ora di svegliarsi per Akur; i rituali della mattina lo attendevano.

Si alzò dal suo giaciglio di terriccio e foglie secche, dove soleva dormire nei primi giorni primaverili, e afferrò il bastone dei rituali: un antico ramo di quercia finemente lavorato ed adornato di splendenti e preziosi minerali. Poi si diresse verso l'albero della vita. Queste usanze erano l'unico arcaico ricordo che lo legavano alla sua gente, al suo popolo prima che fosse massacrato dai romani. Così, perso in una dimensione metafisica, l'uomo muscoloso e nervino si incamminò verso il centro del bosco. Qui si fermò bruscamente, nascondendosi dietro un antico tronco. C'era un drappello di romani tutto intento a tagliare gli alberi intorno ad una radura per far posto ad un nuovo accampamento.

"E così si sono spinti fin qui" bisbigliò Akur tra se e se mentre guardava la scena che gli si parava dinnanzi.

"Dobbiamo tagliare tutti questi" disse un uomo in lontananza mentre col dito indicava un grande perimetro quadrato.

"Qui poi passerà la strada e lì innalzeremo le torri di vedetta"

"Forza dai, muoviamoci! Caio vuole un lavoro celere!"

Akur ascoltava silente quella lingua a lui parzialmente sconosciuta. L'aveva già sentita tempo addietro, all'epoca della distruzione della sua città, e quel breve periodo gli bastò per riuscirne a comprendere i suoni di base; infatti, capì a grandi linee il discorso dei legionari.

L'uomo era indeciso se intervenire o fuggire e cambiare luogo di vita. Con ancora il bastone in pugno e i muscoli intorpiditi dal sonno decise di tornare al suo giaciglio per afferrare la spada: meglio intervenire ora che erano poco più di una cinquantina piuttosto che attendere l'arrivo dell'esercito!

Corse, come una lince, fino al suo riparo. Qui lanciò il suo bastone dei rituali su un alto albero, insieme ad un sacco contenente tutti i suoi artefatti poi, fece una ventina di passi verso nord e infilò il braccio dentro un albero cavo da cui estrasse una bellissima spada in ferro.

La lama brillava ai primi raggi del sole.

L'elsa, incastonata da rubini e smeraldi, proiettava sullo stoico viso di Akur un rubicondo arcobaleno.

Poi l'uomo, si sfilò la cintura ed il gonnellino e corse nudo a tuffarsi in un vicino lago ghiacciato. Qui fece qualche bracciata di nuoto per temprarsi i muscoli ed uscì ad asciugarsi alla luce del sole.

I deboli raggi del sole nascente gli scaldavano la pelle, illuminandogli gli occhi chiusi.

Il silenzio fu rotto da un profondo canto che usciva dalla bocca di Akur, anche se sembrava che l'uomo non la muovesse. Passati pochi istanti l'uomo si piegò e allungo la mano verso delle bacche violacee che crescevano da una frasca vicina. Ne ghermì un paio ed alzandole al sole le consacrò al dio della guerra prima di spremersele sul volto.

Un rosso cremisi gli colava dal viso donandogli un'area demoniaca. Poi, in ultimo, l'uomo tornò vicino al suo giaciglio e spostando un piccolo masso che dormiva sul terreno scoprì una buca contenente delle pergamene. Le legò con un giunco e le lanciò sull'albero dove aveva posto gli altri suoi oggetti; tutte tranne una.

Inginocchiandosi davanti ad un raggio di sole la aprì sul terreno. Vi erano dei segni, come di sigilli. L'uomo punto su quella pergamena la sua lunga spada e leggendo quegli antichissimi simboli li tinteggiò con le dita ancora sporche del sangue di bacca sulla lama della spada. Questa brillò, come rinvigorita da uno spirito etereo. Poi fu pronto al combattimento. Portandosi la spada davanti agli occhi, Akur, guardò dritto dinanzi a lui e partì in corsa.

-

"Per Castore! Questi schiavi sabini lavorano in fretta!"

"Si! È stato un dono di Giove trovare quel piccolo villaggio qui vicino. Ci ha concesso cibo e donne" rispose una voce adornata di grasse risate.

Akur osservava nell'ombra del bosco il gruppo di legionari e schiavi al lavoro, tenendosi pronto ad intervenire.

Il drappello di uomini era troppo compatto per sferrare un attacco frontale.

Akur alzò gli occhi al cielo, aspettando immobile.

Gli uomini continuavano a lavorare ad un ritmo disumano. Akur, sentendo il pianto degli alberi cadere, non riuscì a trattenere le lacrime. Offrì il suo silenzioso pianto da bere al terreno, Poi, all'improvviso, gli si parò dinanzi un cinghiale insolitamente calmo e silenzioso. Akur lo guardò.

Aveva gli occhi bagnati come lui.

Poi il cinghiale, iniziò a strusciare le corna sul terreno bagnato dalle lacrime dell'uomo mentre guardava minaccioso gli uomini dinnanzi a lui. Quel rumore di asce lo infastidiva. Akur benedisse dell'aiuto la natura,

Poi, il cinghiale caricò il primo uomo che ebbe a tiro.

Lo colpì senza pietà alla schiena, mentre l'uomo era intento a tagliare un piccolo albero, spaccandogli le vertebre e liberandolo da quella vita. Subito i romani nelle vicinanze diedero l'allarme e iniziarono a caricare il cinghiale con ancora le asce da boscaioli; mentre, quelli lontani, recepito l'allarme corsero ad afferrare archi e giavellotti.

Akur, aveva un piccolo margine per intervenire.

Aspettò che il piccolo gruppo di uomini accerchiò il cinghiale.

"Guarda come ha paura! Fututorem! "

Poi l'uomo che aveva pronunciato questa parola tiro un fendente di ascia recidendo una zampa al cinghiale, Questo preso dal panico caricò l'uomo che aveva dinanzi, abbattendolo e scappò nel bosco. Il piccolo drappello di uomini lo seguì disperdendosi.

Era il momento propizio.

Akur aspetto un istante poi iniziò a muoversi silenzioso come una faina.

Apparì, come un demone, al primo romano che incontrò e subito, con un fendente preciso, gli taglio di netto la testa dal corpo.

Così fece con gli altri uomini che si erano dispersi nella foresta prima di trovare il cinghiale morto in una pozza di sangue.

Gettò delle erbe sacrificali in dono al suo aiutante e tornò a nascondersi nel bosco.

Poi origliò:

"Non è possibile che sia stato un cinghiale Tertius guarda per Ercole! Gli han reciso la testa!"

"Ma era un cinghiale l'ho visto coi miei occhi diamine! Ed anche Quinto l'ha veduto vero?"

"Si certo era un cinghiale, ci posso scommettere i miei dadi!"

"Basta, non fate i menecmi...sempre insieme voi due! È stata la lama di un uomo! Non riuscite a vedere la nettezza del taglio? Deve avere anche un ottimo braccio per Giove" disse la voce autoritaria di un uomo: probabilmente un centurione.

"Deve essere stato qualche sabino o etrusco che ci è sopravvissuto" continuò "formate dei drappelli di almeno V uomini e cercatelo nel bosco. Ad attimi arriverà il legato con la mia intera centuria" finì.

Poi iniziò ad indossare le armi e l'armatura che si era levato per lavorare.

Akur rimase a guadare stupito la gerarchia e l'organizzazione di quegli uomini; erano così dentro il loro ruolo e grado che lo affascinavano. Parlavano solo a comando e mostravano nei loro occhi una rabbia proveniente dalla frustrazione di eseguire un qualcosa che non si desidera personalmente. Vedeva il loro spirito come molto affievolito e chiuso in se. Ognuno aveva un nome ed un'immagine di se.

Anche lui aveva un nome: Akur, ma questo era solo il suo nome di battaglia, Gli altri suoi nomi non li ricordava più. Da quando era fuggito dal suo villaggio in fiamme, la paura aveva fatto irruzione nella sua coscienza ed aveva creato una barriera dentro di lui. Parte del suo passato era come caduto in un fosso oscuro. Gli sarebbe piaciuto ricordare gli altri suoi nomi, legati ad altri riti di vita...ma non era questo il momento per riflettere. Doveva intervenire!

Guardò dritto dinnanzi a lui. Vi erano una trentina di uomini radunati davanti al centurione; tutti intenti a vestirsi ed armarsi. Il centurione li incalzava per fare in fretta. Dietro al drappello una decina di schiavi nudi ed in catene continuava a tagliare la legna.

"Legionari, siamo l'avanguardia del legato! Non possiamo permettere che la sua avanzata venga disturbata! Vi deve essere qualche sabino o etrusco scampato ai nostri attacchi precedenti. Troviamolo e uccidiamolo! Non voglio inviare un messo al legato dicendo che siamo stati sconfitti probabilmente da un sol uomo".

Detto questo ordinò ad una quindicina di uomini di disperdersi nel bosco mentre con l'altra metà rimaneva a guardia degli schiavi frustandoli per farli lavorare al posto di tutti.

Akur, non sapendo come gire, acquietò la ragione e rimase in ascolto del vento. Le frasche vibravano in direzione del centurione.

Era deciso: lo spirito gli aveva parlato.

Aspetto che il piccolo drappello di uomini si introdusse nella boscaglia fitta; poi, si scagliò fuori dal suo riparo.

I legionari vedendolo rimasero sbigottiti. Il volto di quell'uomo, cosparso di un rosso cremisi li intimoriva. Fu un attimo. Akur pronunciò un grido di guerra e con un impeto animale raggiunse i primi uomini. Questi rammolliti e impauriti ghermivano mollemente i grossi scudi a torre ed i tre giavellotti di ordinanza per ogni legionario.

I primi fendenti di Akur furono potenti e spietati.

Falcio con pochi colpi i primi tre uomini, mentre gli altri lasciavano cadere i pilum per afferrare il gladio.

Akur approfittò dell'effetto sorpresa e sbigottimento per infilzare velocemente gli uomini che aveva a tiro. Due legionari cercarono di colpirlo, ma con riflessi felini Akur ne schivo i deboli colpi. Poi approfittando del loro sbilanciamento li falcio entrambi con un singolo colpo circolare.

Gli altri uomini fuggirono e si unirono in fondo ad una piccola linea che aveva a capo il centurione nella sua armatura dorata.

"Arrenditi barbaro selvaggio e ti faremo schiavo! È la tua ultima possibilità!" gli urlò il centurione.

La risposta di Akur fu quella di afferrare un grande scudo a torre iniziando ad avanzare di corsa verso il centurione. Questo diede ordine ai suoi uomini di lanciare i giavellotti verso il barbaro. Quattro giavellotti colpirono vigorosamente lo scudo, spezzandone le travi di legno. Ma poco importava perché Akur gli era giunto vicino. Dietro allo scudo a torre romano sfondò la linea e, una volta alle spalle del drappello, tiro un lungo fendente orizzontale all'altezza del collo dei legionari. Ne abbatté cinque con un singolo colpo. Il centurione nel mentre lo colpì alla schiena aprendogli uno squarcio nei dorsali. Akur fece un forte grido che riecheggiò per tutto il bosco.

I soldati romani, inviati nel bosco lo sentirono ed iniziarono a tornare indietro.

"Cane etrusco, piegati!" Disse il centurione mentre scagliò un altro colpo ad Akur. Questo riuscì a schivarlo con una capriola, portandosi dietro al centurione e l'avrebbe ucciso se dei legionari non l'avessero fermato lanciandosi a peso morto su di lui.

Nella caduta il barbaro afferrò i crani dei due uomini che l'avevano fatto precipitare e li usò come appoggio per l'atterrata, attutendo la sua caduta.

I riflessi dei normali uomini civilizzati non potevano niente contro la rapidità di un felino.

Infatti, neanche ebbe il tempo di girarsi, il centurione, che vide il selvaggio sparire nelle ombre. Gli rimanevano pochi uomini.

Dopo un momento, volarono dal buio del bosco tre giavellotti che infilzarono i tre legionari più esposti. Ora restavano solo pochi romani.

Il centurione allarmato ordino a suoi uomini di radunarsi in una piccola testuggine circolare difensiva.

Akur approfittò della confusione e cecità dei suoi avversari per correre ai bordi della radura e liberare gli schiavi sabini che, avendo interrotto i lavori, osservavano immobili la scena. Con precisi fendenti recise le loro catene.

I romani, appena se ne accorsero li avevano già addosso. Armati con asce da boscaioli iniziarono, pieni di rabbia, a colpire i legionari.

In lontananza si sentirono suonare i corni del legato ed il centurione, rendendosi conto della sua disfatta, salì sull'unico cavallo che c'era in quella radura e a perdi fiato corse ad avvisare il legato.

Dopo la battaglia scese un leggero silenzio in cui gli occhi di Akur e quelli dei sabini liberati si incontrarono.

Un uomo, con fitta barba e capelli, gli mise una mano sulla spalla, mentre con l'altra gli porse in dono la sua collana. Era un monile reale; le cui pietre brillavano come stelle di costellazioni.

Fu un attimo, un saluto taciuto: poi i sabini sparirono nel bosco mentre Akur tornava di corsa all'albero per prendere le sue cose e scappare da quel luogo.

FINE Episodio.

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Contiene il secondo e terzo canto di Akur!

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