Giorgio Gaber: il volto dell'autenticità

23.07.2024
Milano è un paese che si crede metropoli, pensavo mentre mi dirigevo in Duomo, guardando le sue viette curve e storte, la pavimentazione ed i colori.

Mi sorgeva spontanea la comparazione con realtà più piccole e paesane come Mortara o Treviglio.

Poi vedendo la moda, il consumismo e la cementificazione selvaggia dissi: certo che non ha nulla di buono sta città.

Una cosa buona però sicuramente l ha avuta: Giorgio Gaber.

Ed ammirare un bel film ed un concerto in suo onore in centro a Milano è stato un bellissimo tributo.

Ciò che mi ha colpito piú di tutto di Gaber, oltre ai testi delle sue canzoni che toccano vette uniche nella musica italiana, erano i suoi sguardi i suoi movimenti: la sua autenticità.

L'uso dello sguardo, del corpo come medium di linguaggio ed espressione del se.

Un medium che ne carica il significato, che ne amplifica il significante e la potenzialità di ascolto. Perché l'incidenza (la partecipazione della canzone: la libertà), il manifestarsi del proprio esserci è parte fondamentale della nostra esperienza ed uno degli unici modi per mettersi in contatto autentico con gli altri attraverso un pieno "dialogo vero ed espressivo" ed un pieno ascolto.

Io, noi e Gaber è un bel film documentario che ci porta a dare uno sguardo di interezza al percorso di questo "filosofo".

La canzone dell'elastico, la strada, la libertà, il conformista, se fossi Dio hanno una carica critica, di indagine personale e sociale potentissima.

Gaber era un uomo che si faceva domande, che si immergeva completamente nel mistero della vita con tutto il suo esserci senza sapere dove essa l'avrebbe portato.

Dai suoi testi, dai suoi sguardi sembrava credere nella potenza trasformatrice della cultura e del lavoro interiore; vedere la sua generazione che invece si appiattiva acriticamente sulla "rivoluzione" come moda di costume gli faceva un male incredibile. Un intervistato nel film diceva che far coincidere politica e indagine esistenziale è impossibile ed inutile. Gaber forse vedeva cosí la politica, e la incarnava in quella partecipazione che sembrava portar avanti la sinistra storica in quel tempo. Ed il suo epilogo infatti è comune alla maggior parte dei piú grandi uomini di cultura del suo tempo: Pasolini e Terzani che piu o meno trassero le stesse conclusioni: la mia generazione ha perso.


Interessante il discorso di Bisio in chiusura. Bisio che esce da indagini profonde come col suo film gli sdraiati e che lancia un appello ai giovani di "fare una rivoluzione" di non fare lo sbaglio della sua generazione.

Anche se in fondo parlare di generazione è semplificare così come parlare di generazioni vincenti o perdenti.
Una cosa sicuramente però la si può dire. Se è vero che la generazione di Gaber ha perso è anche vero che chi ha veramente ascoltato e fatto suo il messaggio di questo poeta ha vinto.








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