Diario di un ventenne: l'università
Ciao a tutti. Capperi, oggi voglio parlare della mia
esperienza universitaria che posso sintetizzare
con una parola: orribile.
Perché dico questo? Perché a parte non essermi
servito a niente, in termini di preparazione e in
termini di opportunità lavorative è stato anche
molto pesante. Il dover imparare a memoria
quintalate di teorie e formule che non hanno
minimamente riscontro nella realtà. Lo studiare
qualcosa di sociale (come l'economia) con
ossessione e rigore matematico mi ha lasciato,
nel pieno del mio percorso senza forza di
volontà. Andavo avanti per inerzia,
appoggiandomi a qualche secchione di turno.
Ho passato egregiamente esami, senza sapere
neanche di cosa parlasse la materia trattata...ho
visto compagni cadere negli abissi della
frustrazione e dell'ansia.
Ho sofferto molto il mortorio dei rapporti
interpersonali tra gli studenti dei dipartimenti
scientifici...solo orientati ad un cameratismo
finalizzato al passaggio dell'esame di turno.
Non si era interessati a conoscersi veramente; a
scoprire veramente come funziona il mondo...ma
ognuno era interessato solo al suo ritorno
personale...troppo era la pressione familiare ed
egoica sopportata da ognuno.
Ricordo bene il senso di autosfruttamento ed ottimizzazione a cui
ogni studente era sottoposto. Si guardavano i video di come
schedulare al meglio la propria giornata (grazie ai consigli dei
migliori studenti di Oxford) e si resisteva alle varie sessioni pomodoro
di studio.
Ad ogni esame vi era qualcuno che stava male, qualche attacco
nervoso di diarrea, uno sciamare interminabile di tic, riti ed
angosce.
Tutto questo per cosa? Per quale risultato? Nessuno.
Si viene costretti ad affrontare un percorso universitario, solo da
un bieco ed insulso conformismo. Solo affinché i nostri genitori si
possano vantare dei nostri traguardi, indifferenti alla qualità del
tempo della nostra giovinezza.
Perché cari lettore, sono i più splendidi anni di gioventù quelli che
si vivono tra i banchi di scuola; e questi vengono sprecati e dati in
pasto alla mente e ad un sistema che non vuole altro se non
uniformarci, spegnerci e standardizzarci.