Era il suo ultimo giorno di lavoro
Aveva lo sguardo stanco e perso, quella mattina di marzo.
Non ricordo il suo nome, forse non ci siamo mai presentati. Ricordo solo il suo sguardo, fintamente pensoso e rivolto al vuoto.
Era quasi un uomo di mezz'età: un bottone tra i 30 e i 40 anni. Una fascia d'età fragile, soprattutto se si stravolge la propria vita cambiando lavoro.
Io ero alle mie prime settimane di lavoro e guardavo quel mondo a me sconosciuto con occhi indagatori. Osservavo il mondo dei grandi, delle aziende, degli impiegati, ma lo guardavo da fuori.
Stavo infatti facendo una breve esperienza di lavoro come informatico, un campo che non era il mio e che al più presto avrei lasciato.
Ma questa esperienza mi ha toccato molto. Mi occupavo infatti del ritiro della dotazione aziendale di tutti coloro che si licenziavano o che andavano in pensione.
Uomini stanchi e sfiniti riportavano tutti i loro usberghi, usati per 20/30 anni, e consegnandomeli registravano sul volto quasi un'espressione di "espiazione". Un'emozione sottile a metà strada tra la libertà e la morte. Un'espressione che è difficile da confondere. L'espressione tipica di quando si passano delle soglie.
Ma torniamo a noi.
Anche quell'uomo, quella mattina di marzo, aveva con lui quell'espressione. Cercava di camuffarla fumando nervosamente una sigaretta. Ma la mano gli tremava.
C'era un collega con me; gli chiese:
"Tu fumi tanto, vero? Di solito trema la mano a chi fuma tanto."
L'uomo si guardò la mano e annuì, poi aggiunse:
"20 anni che lavoro qui. 20 anni." Lo disse mantenendo in viso quella sensazione di espiazione, mentre con i suoi occhi cerulei fissava il cielo uggioso e senza speranze di sereno.
Il mio collega gli chiese se si stava licenziando perché aveva trovato altro.
Lui rispose di sì. Ma lo disse nervosamente, ripetutamente, quasi a volersene convincere. Io penso che non avesse trovato un'altra occupazione. Ne sono sicuro.
Quando lo salutammo, aveva indosso uno zaino buffo. Aveva dovuto riconsegnare il suo zainetto brandizzato della ditta, e se ne era portato uno rosso e buffo di scorta. Lo vedemmo uscire l'ultima volta dal cancello e svanire nella nebbia di Milano.
Poco dopo andammo nel suo ufficio a ritirare il suo monitor e la tastiera. Aveva la scrivania in condivisione con una donna di mezza età.
Appena questa ci vide ci disse: "Eccovi, finalmente", poi aggiunse sorridendo: "Dopo vent'anni avrò un po' più di spazio" e appoggiò sulla scrivania al posto del collega una confezione di muffin al cioccolato.