DEVO PARTIRE - Racconto di viaggio ( sostenibile, inclusivo)
"Devo partire!"
Urlò Marco sulla metropolitana mentre stava per tornare a casa. Poi, senza badare alla gente che lo fissava per quell'atteggiamento inusuale, inaccettabile e non consono iniziò a ripetersi nella mente: "devo partire, partire...devo partire, partire, devo...." Poi si interruppe. Un signore anziano, con grandi baffi bianchi, gli posò la mano pesante, da lavoratore, sulla spalla, invitandolo a calmarsi con queste parole "tutto bene figliolo?".Gli disse così quell'uomo guardandolo negli occhi.Marco, uscendo da quello stato di agitazione, annuì all'uomo e ringraziandolo uscì dalla metropolitana senza guardarsi attorno per la vergogna."Dio sto impazzendo...questo lavoro mi sta mandando fuori di testa..." Ripeté fra sé e sé mentre, come un automa, compiva i soliti passi che dalla stazione lo conducevano in ufficio.Il gesto che lo salvò dalla crisi e che gli permise di tirare avanti quel giorno fu il fermarsi un attimo in strada e compiere un respiro profondo: una boccata d'aria fresca che, seppur inquinata, lo tranquillizzò.La giornata lavorativa passò in fretta. Poi la spesa, la cena, la casa e fu il giorno seguente."È solo mercoledì, devo tirare avanti" si disse Marco; e fu giovedì.Giovedì sulla metropolitana ebbe un'altra crisi; Marco pianse lacrime di sfinimento. Poi scappò fuori e pulendosi la faccia si ripeté così "dai avanti Marco, tira avanti che domani è venerdì! Questo week end mi chiudo in casa con la mia serie preferita e mi rilasso che ne ho un disperato bisognoperché non ce la faccio più ad andare avanti così...almeno… così almeno ricaricherò le batterie! E lunedì sarò pronto ed energico! Si! Sarà così...giusto oggi. Ce la posso fare!". Poi, compì i soliti passi, le solite mansioni e senza pensare fu sera: il venerdì sera.Marco corse a casa, un minuscolo monolocale nella periferia di Milano, e si lanciò sul letto; poi chiuse un attimo gli occhi e cercò di rilassarsi; ma il ritmo frenetico della giornata gli pulsava ancora nelle vene, ed anche gli echi delle urla, delle sgridate e dei sensi di colpa per le sviste che aveva commesso nella giornata gli iniziarono a gridare nella mente. Voci stridenti, veloci, che si ingarbugliavano fra loro in una matassa obliqua ed infinita che conduceva Marco su strade oscure. Oscure come il buio che iniziava ad avvolgere le finestre della sua stanza.Marco riuscì a muovere un braccio nervosamente, e questo lo destò da quei pensieri. Eran già passate un po' di ore e a Marco venne ansia: stava buttando via il venerdì sera. Così prese il cellulare, si ordinò una pizza ed accese il televisore; pronto a connettersi con lo smartphone per
vedersi qualche serie TV.
Così Marco passava quel venerdì sera; o a dirla meglio, ogni venerdì sera
Trangugiava fette di pizza e patatine allo stesso modo in cui finiva episodi e serie. Ed anche quella
notte non fu diverso. Non fu diverso perché Marco non voleva che la serata finisse e neanche il
piacere di quel cibo che stava mangiando, perché quello era ciò che sognava di più e ciò di cui
aveva bisogno per riposarsi e svagarsi. Così passò tutta la notte ed alle prime luci Marco si rese
conto di non aver dormito.
Buttato scomposto sul suo letto disfatto e pieno di briciole, Marco esisteva. Ed intorno a lui vi era
buio e il rumore luminoso della TV.
La luce fece venire a Marco una sorta di ansia. Gli ricordava degli offici della giornata; del dover
andare al lavoro, della gente che odiava perché viveva tutta uguale e non gli voleva bene, e così
decise di chiudere tutte le tapparelle e continuare a guardare altre serie.
Per non addormentarsi quella notte aveva fatto un uso massiccio di bevande energetiche. Ed era per
questo che si sentiva il cuore battere all'impazzata e a volte, quando qualche battito era aritmico, si
spaventava ed agitava.
Passò il giorno e venne sera.
Marco continuava sempre uguale: così stava passando anche la domenica quando finalmente, verso
sera, Marco crollò e si addormentò. Mentre dormiva gli squillò varie volte il telefono: era sua
madre, ma Marco non la sentì. Il telefono poi, dopo un lungo silenzio, poiché non vi era nessun
altro che lo cercava, squillò nuovamente; Marco questa volta si svegliò, guardò:
era la sveglia ed era lunedì.
Così iniziò un’altra settimana; altri giorni infelici e alienanti e poi fu nuovamente il weekend. Solo
che quel week end fu diverso. Fu diverso perché a Marco venne una crisi devastante, che lo rese
catatonico per tutto il sabato: gli bruciavano gli occhi, lo stomaco, si sentiva il cuore esplodere di
ansia e tremava in preda ad uno strano freddo.
"Come sono caduto in basso! Che schifo la mia vita" urlò; e le parole corsero veloci come i battiti
del suo cuore; ed il suono di quelle parole fu come suonato dalle vibrazioni delle vene dei suoi
polsi. Poi in un attacco isterico prese il suo smartphone e lo toccò così freneticamente gridando
"Serie, Serie ormai vivo per questo! Guarda che bella questa sarebbe un peccato non vederla, tanto ho tutto il tempo del mondo, non ho nessuno, sono uno sfigato, un fallito, con un lavoro che odio e
mi odia e il mondo che odio e mi odia!" Gridava così mentre schiacciava freneticamente le icone
del suo smartphone. Poi lo prese e lo lanciò al muro.
Subito corse per riprenderlo e vedendo che aveva scheggiato il vetro crollò in un pianto disperato
grazie al quale si acquietò ed addormentò.
La mattina Marco guardò sul suo telefono e fu sconvolto da una notifica: "La struttura ha
confermato la tua prenotazione a Venezia. Il pagamento è stato processato". Seguiva a questa
notifica il messaggio di un pagamento di 250€ non rimborsabile. Marco urlò parolacce mentre
cercava di capire cosa aveva combinato. Poi vedendo che non era più possibile ottenere un rimborso
si arrese all'idea di essere ancora più un fallito di quanto pensava e di aver buttato via un sacco di
soldi: sia per il telefono sia per quel viaggio che non avrebbe mai fatto.
Il viaggio era prenotato per il week end prossimo. Questa notizia ogni tanto riappariva a Marco
durante la sua routine settimanale. "Venezia, Venezia..." Si ripeteva durante i lunghi orari di lavoro;
"be, però potrebbe essere una buona occasione per vederla...d'altronde non ci sono ancora mai stato
e mia madre ha sempre detto che era bellissima".
Quel pensiero, o meglio, quel discorso fra sé e sé convinse Marco che la cosa migliore era
approfittare di quell’insolito caso ed andare a Venezia. Pensò di andare in auto, ma la sua macchina
era al limite della legalità: con la cinghia di distribuzione al limite della tenuta, le gomme da
cambiare e le lampadine andate. Pensava che sostituire tutta quella roba oltre ad essere un costo che
non si poteva permettere al momento, sarebbe stato anche molto inquinante, come d’altronde il
dover viaggiare in autostrada. E se c'era qualcosa per cui ancora si rispettava, per cui ancora
riusciva ad avere un minimo d'amor proprio, questo era il suo spirito verde e sostenibile. Ed allora
l’unica soluzione era il treno.
Marco amava viaggiare in treno d'altronde.
Il rumore rilassante dei binari, la possibilità di leggere e rilassarsi era un’idea che lo confortava
molto.
Quindi aveva deciso: sarebbe partito.
Quella settimana passò lentamente. I giorni iniziavano ad assumere una profondità nuova. Il tempo
frenetico della routine iniziava ad essere rallentato da spazi calmi di riflessione e di sogno. Chissà
come sarebbe stato viaggiare dopo tanto tempo che era fermo a Milano. A Marco sembrava non importare nemmeno più quale fosse la sua destinazione; l'importante era poter viaggiare, muoversi
ed esplorare qualcosa di nuovo, di altro da lui.
Poi giunse il giorno del viaggio.
Il treno scivolava veloce sui binari; le fermate erano scandite dalla voce meccanica dell'autoparlante
e le facce dei passeggeri mutavano con il cambiare dei luoghi finché non arrivò a destinazione:
Venezia.
Appena sceso dal treno ed uscito dalla stazione, Marco rimase esterrefatto dall'acqua che gli
scorreva davanti e dal grande edificio che stoico lo accoglieva alla città e poi via, tra la folla fino a
San Marco. I passi sembravano step di una danza misteriosa: la danza del pellegrino. Marco si
scoprì viaggiatore; ed il viaggiatore si sente a casa in ogni luogo: perfino in una piazzettina umida,
buia, al di fuori della grande via dei negozi. Lo condusse lì la musica soave di un flauto dolce
suonato da una ragazza.
Lei era bellissima ed i suoi occhi celesti riflettevano la preziosità della città e della sua tradizione.
La musica era soave ed a tratti sinuosa. Marco si fermò per sedersi sui gradini davanti ad una chiesa
e si mise ad ascoltare la musica della suonatrice. Lei lo guardava e lui la guardava. La sinuosità
della musica, come la corrente dell'acqua che scorreva intorno a loro, li univa trasportandoli in una
medesima corrente di sogno. E poi venne, come d'improvviso, l'acqua alta. E mentre Venezia
affondava, lui affondava negli occhi di lei.
Sembrava che la vita ricominciasse a scorrere. La sua apatia, il suo freddo sentimento del mondo
iniziava a scaldarsi. La vita, seppur tragica, iniziava a fargli vedere degli spazi di bellezza, degli
sprazzi d'immensità e di libertà da sé.
Vi era tutto questo negli occhi di quella ragazza. Vivere quella situazione fu come un lacerarsi per il
cuore di Marco; finalmente quella rigida armatura di ideali e isolamenti si autodistruggeva dinnanzi
ad un'immensità estranea a lui.
Fu perso in questo pensiero Marco, mentre restava in estasi seduto nel buio.
"PSS ehi! Anche se non mi hai dato neanche un centesimo dovresti spostarti...si sta per allagare
tutto...chissà se la diga ci salverà!" Gli disse la ragazza, dopo averlo sfiorato con due dita sulla
spalla.
" Si certo, certo" gli rispose Marco con gli occhi ancora persi dentro di lui. Poi vedendola andare via
gli chiese, con un coraggio recondito, così: "Ehm, scusami...ma cosa si fa in questi casi?"
Gli rispose: "ci si sposta; si viaggia altrove"
E allora Marco decise che avrebbe viaggiato altrove...non solo sperando di ritrovare quella ragazza,
ma sperando di ritrovare la bellezza che aveva visto nei suoi occhi e udire nuovamente la vita della
sua musica.
Così visse appieno quel weekend per poi tornare il lunedì a lavoro.
Ai colleghi Marco sembrò un ragazzo nuovo, più vivace, vitale ed allegro; cosicché l'umore
dell'ufficio ne migliorò.
Neanche fece in tempo a pensare dove andare che fu di nuovo fine settimana.
Questa volta Marco aveva preso di ferie anche il lunedì ed il martedì così da potersi concedere un
viaggio più lungo...d'altronde non aveva mai usato un giorno di ferie da quando era stato assunto.
Così decise di andare a vedere Roma. C'era giusto un treno che partiva da Milano alle prime luci
dell'alba.
Marco una volta a bordo del treno, risentì quella musica: la musica dei viaggiatori; solo che ad
intonarla non era una ragazza con il suo flauto ma l'oscillazione dei vagoni sul binario. E quella
musica gli fece venire voglia di scrivere qualche pensiero: un diario di viaggio.
Così Marco imparò ad esprimersi meglio e con questo anche a conoscersi veramente. Ed ogni
monumento che osservava a Roma era come una parte di lui, della sua storia, della sua esistenza.
Era come osservare le fondamenta di quella magnificenza che sentiva risplendere dentro di sé e che
aveva per così lungo tempo fatto giacere sotto strati polverosi ed eterni di terra.
E Roma era grande perché lui era grande.
Vide Pompei, Ercolano ed il mare laziale.
Poi fu un'altra settimana e con essa, un altro viaggio: a bordo di un regionale per la Liguria.
Qui Marco viaggiò sulla costa frastagliata a picco sul mare. E sentiva il rumore delle onde ed il
profumo del tempo cristallizzarsi nella magnificenza dei paesaggi liguri.
Visitò le cinque terre, dove la roccia precipita nel mare proteggendo l'uomo dalla furia delle onde. E
lì, in Liguria, guardando il mare dall'alto della costa, perso nei boschi silvani, nelle selve selvagge
dell'entroterra, Marco conobbe la pace e la calma potente della natura.
I due giorni di ferie passarono e con essi finì il viaggio. Quello che non passo però era lo stato
d'animo e la luce che quelle esperienze avevano infuso nel cuore del ragazzo.
Così trovò il coraggio, nei mesi seguenti, di organizzare un viaggio in Europa a bordo dei treni nel
progetto dell'interrail.
I mesi passarono in fretta, forgiando Marco all'esistenza del viaggiatore. Poi il tempo lo condusse al
giorno della partenza.
Prima di partire salutò la madre e la sua famiglia commuovendosi del bene che gli voleva, perché
anche se a breve sarebbe stato più lontano di quanto gli fosse mai capitato di stare da loro, il
sentimento che li univa aveva rincominciato a battere caldo nei loro cuori.
Così visitò le grandi capitali europee ed in viaggio conobbe amici e amiche divertendosi e vivendo
con loro, finché una sera, ritiratosi stanco in un ostello di Berlino, rincontrò lei: la ragazza che lo
aveva iniziato al mestiere di viaggiatore, grazie solo alla sua musica e all'esempio della sua persona.
Fu come essere fulminati dal passato. Lui la guardava ma lei non lo vedeva. Era come se non lo
avesse mai visto ed ora, mentre per lui lei era tutto quello che era ora, per lei lui non era niente, uno
sconosciuto tra sconosciuti. Nonostante questo pensiero instillò una sorta di malinconia negli occhi
di Marco, lei lo salutò presentandosi e meravigliandosi della sua personalità. E allora quel
sentimento di malinconia lasciò il posto alla gioia ingenua di potersi meravigliare ad ogni incontro;
alla gioia di non classificare nessuno ma di lasciar cambiare e rinnovare ogni persona.
Così la avrebbe voluta assaltare di felicità, di abbracci e di ringraziamenti e di promesse di
matrimoni, ma preferì, una volta finito di parlare con lei, lasciarla allontanare e perdere tra la folla;
perché il pellegrino sa qual è la sua metà ma sa di non poterla conquistare, perché il viaggio non ha
mai fine in questo nostro giro di giostra.
Così Marco da viaggiatore divenne pellegrino e dal treno passo alle sue gambe.
I suoi mille giorni lo portarono all'estate, alle ferie ed alla via Francigena.
Marco aveva deciso che avrebbe camminato da Vercelli fino a Roma in un viaggio lunghissimo al
di là della sua concezione perché voleva stare in cammino, confrontarsi e fondersi col mondo che si
muoveva con lui ed insieme lo muoveva. Non dovette aspettare molto perché il ritmo della sua vita,
che aveva ripreso a battere, lo traghettò velocemente al giorno della partenza del suo pellegrinaggio.
Questa fu un'esperienza bellissima per Marco. Ad ogni suo passo sentiva riecheggiare quell'antica
musica che aveva ascoltato la prima volta a Venezia, ed ogni sguardo che incrociava sulla via, gli ricordava lo sguardo di lei; perché non sono semplici sguardi quelli che ci si scambia tra viaggiatori,
ma riconoscimenti reciproci, calorosi abbracci familiari di cittadini di sé e del mondo.
Durante la via, Marco soggiornò presso ostelli, ristori e conventi; ove conobbe la bellezza
dell'ospitalità e dell'inclusività, perché tra pellegrini, anche se ognuno è sulla propria strada,
nessuno viene escluso ma si viaggia insieme come singole gocce d'acqua nel mare della vita per
sempre.
Se guardo adesso Marco negli occhi, vedo un ragazzo diverso, cambiato. Vedo un ragazzo solare
che ama la vita perché ha capito che la vita è un viaggio proprio, non un gioco con vincitori e
perdenti. E se gli domando se deve ancora partire lui mi risponde così: "certo, voglio partire!".
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