Byung Chul Han : IPERCULTURA

02.09.2024

Il mondo moderno è un caos...


Penso che  ormai tutti la pensiamo così. Ma forse potrebbe essere interessante, iniziare a districarsi in questo caos partendo con una domanda fondamentale?

Da dove viene questo caos?

Beh, per i greci il caos è all'origine di qualunque cosa. Il caos origina il tutto. La stessa cultura greca deriverebbe da un caos di popoli mischiati; cosí come la grande Roma  deriva da latini, sabini, etruschi, sanniti, liguri ecc...

Questa eterogeneità, questo melting pot culturale è all'origine della cultura e dello straniero: insomma il classico algoritmo Hegeliano: tesi-antitesi-sintesi. La sintesi è proprio la cultura.

Hegel effettivamente scrive un saggio sull'origine del popolo greco e compie proprio questi ragionamenti.


Ma dicevamo quindi, che il caos è strutturale nel nostro mondo. Il mondo moderno lo manifesta appunto con trasparenza.


Un celebre motto di Microsoft recita "Where do you want to go today?"

L'informatica, assume questa locuzione come impersonificazione, perché effettivamente ci permette di viaggiare ovunque: viaggiare, dirà Byung,  come turisti in camicia hawaiana.

Questa locuzione però, non è usata con colpevolezza dall'autore; è una locuzione intorno a cui gira un fitto ragionamento legato alla struttura intrinseca del mondo. Essere un turista, in camici hawaiana ( che non è serio) ci permette di defatticizzare il mondo; di sciogliere il vincolo, la sacralità, la "pesantezza" della cultura.

Ci permette di viaggiare nell'iperculturalitá, nell iper testo, ove ogni cosa è collegata ad un altra senza punti, senza gerarchia. Ogni cosa, al turista in camicia hawaiana porta ad un altra cosa ed il fitto intreccio, groviglio del mondo si manifesta. L'ipertesto, si potrebbe dire, allenta i confini delle "narrazioni gerarchiche" come la religione, la patria, il costume: perché rivela i limiti APERTI di queste "narrazioni". È un link infinito.


Anche il cibo, usando un immagine di Byung, è incappato in questa ipercultura. In questa accezione l'ipercultura porta l'autore ad un ragionamento anche sulla globalizzazione.  Nei banchi dei supermercati trovano spazio diversi cibi, di culture diverse, non  solo gli hamburgers americani: questo perche l'ipercultura che insita dentro la globalizzazione porta ad un apertura del senso del cibo ed ad un esplorazione dello stesso. Il cibo diventa quasi esperienza: ecco il fusion food: dove il cibo di culture diverse diventa spettacolo.


 Questa trasformazione, portata dall'ipercultura, cambia l'essere in quanto tale. All'esperienza dell'essere gettati nel mondo, l'ipercultura frappone il design: il creare il proprio progetto nel mondo.


Il cruccio ora riguarda più la forma che l'essere.

Citando ancora il motto di windows:

"Where do you want to go today"

o quello di Linux:

"Where do you want to go tomorrow"

o anche quello di Disney:

"Are you ready to go?"

Si evince come peculiaritá la presenza costante del Go. L'io cede posto all'andare, al movimento: insomma al progetto. Benjamin definisce l'essenza di un'opera d'arte nel suo essere hic et nunc. Ogni cosa sprigiona un aurea (vi ricordate la vibrazione di Baricco?) che vibra sacralità nell'unicità dell'attimo dell incontro veicolato ad un qui ed ora. Nell' ipercultura, nella globalizzazione svanisce il luogo. Enti differenti, con origini profondamente diverse vengono de-interiorizzate, strappate alla propria aurea e consegnate completamente all'immanenza. L'immagine che l'autore da dell'ipercultura è quella di un bricolage; in cui diversi enti vengono massificati gli uni vicino agli altri. Perfettamente a portata di mano, come le collezioni moderne che ospitano "ammucchiamenti" di opere d'arte.

L'ipercultura quindi agisce additivamente; è priva di un orizzonte univoco. Nell'ammassamento che ospita, ogni ente può rispecchiarsi in qualcosa; ognuno può costruirsi, nell'abbondanza di riferimenti che l'ipercultura ha al suo interno, la "personalità che vuole. Ogni riferimento infatti è completamente presente; non ha un aurea inafferrabile, un qualcosa di epico, un viaggio come necessitá per ghermirlo; no, ogni ente è completamente disponibile.

L'ipercultura è un concetto più "orientale" che non "occidentale". Giá l'ideogramma cinese ha al suo interno un simbolo che significa "tra". L'uomo è piu un tramite tra enti, luoghi diversi. All'oriente manca la dimensione del ricordo intimo, della memoria. È privo di una profonda interiorità; il che lo rende piu congenito ed apero all'ipercultura. 

Il pensiero orientale punta piu alla relazione e meno alla sostanza; ecco che la messa in rete diventa piú naturale.

L'ipercultura non è il male. È un modo diverso di vivere la vita. Intendendola più come progetto che come vicenda drammatica; piú come finestra che come cammino tra soglie diverse.

La soglia in effetti, ammonisce l'autore leggendo Heidegger, va a sfumare. La soglia è un passaggio importante di frapposizione tra il dentro ed il fuori; l'assenza della soglia porta ad un "iper presenza", ad una disponibilità continua di qualsiasi cosa. La soglia/casa crea uno spazio intimo, interno, separato dal resto ed una frattura col mondo; una frattura umana, difficile da attraversare. Heidegger questa soglia la difende quasi come un "arcaico mondo" fatto di cose semplici. Sostituisce alle finestre - sui mille mondi possibili e tutti disponibili - gli specchi per scrutare nella nostra interiorità e affrontare l'angoscia dell'esserci. 

Senza soglia però questa angoscia sfuma, noi viviamo mischiati col mondo: in un infinito progetto a cui noi, forse, saremo estranei.




 


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