ARTE INFORMALE ASTRATTA

18.12.2021

Non c'è genoma che possa codificare la follia,

non c'è codice che possa esprimere la pazzia...

La mancanza di forma, l'informe, l'amorfo... questo ci viene parato davanti, davanti ai nostri occhi spaventati, intimoriti, davanti ai nostri occhi razionali e nervosi, che ricercano sempre forme, concetti, sovrastrutture, ai nostri occhi architetti, che tracciano ponti, archi e campate fra le cose, ai nostri occhi matematici e geometri, che tracciano rette, puntano vertici, collegano linee; e invece, questi nostri occhi ora si ritrovano davanti a lui, l'informe. L'informe viene sbattuto in faccia, spavaldamente, senza tanto ritegno, senza tante presentazioni, e noi, impauriti, non lo vogliamo accettare, pensiamo che vi sia qualcosa di errato, cerchiamo di trovare un senso nelle composizioni, una forma. Ma una forma non c'è, il tutto è solo informalità. Il tutto è solo una cosa: l'informale. Quest'arte che ha terrorizzato il novecento, che ha fatto impallidire i critici ed i borghesi, quest' arte anticonformista, coraggiosa, innovativa, sognatrice, quest'arte che forse chiedeva soltanto, umilmente e senza voce, solo con grida d'inchiostro e concitate linee urlanti un po' di libertà per l'uomo, per l'umanità tutta; un po' di libertà da tutte le convenzioni, dalla morale repressiva ed autoritaria, un'arte che ricercava il nuovo...

Così ecco che davanti all'informale ci ritroviamo muti, senza voce, perché non c'è alcun significato da esprimere, non c'è alcuna elucubrazione da fare, non vi è nessun cavillo su cui discettare. C'è solo lui, l'informe, e l'informe ammutolisce, l'informe ci rende silenti. E per questo che spesso nelle mostre di arte informale vi è un grande silenzio, le persone non parlano; solamente, ogni tanto sui loro volti si disegna lo spavento, o qualche altra sensazione. Non v'è parola che può essere pronunciato davanti a lui, all'informe, vi può solo essere contemplazione, accettazione dell'informe così come è. Ecco perché quado ci si ritrova fra i quadri informali talvolta sembra di essere in un tempio. L'informale non si può descrivere, non ha un significato razionale, l'informale ci riporta all'essenziale, ci riporta al nostro istinto ed alle nostre emozioni; l'informale non parla alla nostra mente, ma al nostro cuore. Non vi è parola di quelle che siamo soliti usare che possa descrivere l'informale. Se io adesso dovessi descrivere onestamente quest'opera dovrei scrivere questo: . Cioè, niente; o tutt'al più dovrei tornare alla radice del linguaggio, e cioè al verso che esprime una sensazione. Ed ecco che così l'informale compie un miracolo: non permette di essere codificato, permette soltanto di essere contemplato, ed ecco che così usciamo dalla mente, usciamo dalle proiezioni mentali con le quali vediamo il mondo , usciamo dal nostro ego, e ci ritroviamo di fronte alla realtà nuda, così come è, ci ritroviamo faccia a faccia con l'esistenza, con tutta l'esistenza, in tutte le sue forme, ed allora non vi può essere venerazione e meraviglia, non vi può essere che stupore, non si può che celebrare l'esistenza, questa grande festa, questo grande banchetto sempre ebbro che si reclina giulivo sulla china del vuoto, del non essere. Questa è una delle meraviglie dell'informale, ci spoglia, spoglia la società e gli intellettuali delle loro vanità e ci mette davanti all'essenziale, ci fa uscire dall'ego ed entrare nella vita.

E certamente uno dei più grandi rappresentanti dell'informale è Roberto Borotto, che da più di quarant'anni si esprime con l'informale, che da quarant'anni, umilmente, sperimenta e ricerca, da autodidatta, tutti i segreti dell'informe, tutti gli abissi che si celano in esso, che ricerca la perfezione e la dinamicità della linea, e la profondità e l'arcano che si cela invece nelle macchie. L'artista ha ora composto queste ventun opere, questi ventuno fogli bianchi, ognuno dei quali ci reca in dono una composizione, talvolta piccola, talvolta più grande; sono piccoli pezzi di informale, piccole vedute informali del mondo. Piccoli frammenti di dimensioni a noi ignote, di dimensioni ancestrali ed inconsce, piccoli frammenti abissali, su cui lo sguardo teme di indugiare troppo per il recondito terrore di perdersi in essi. Frammenti di mondi sconosciuti, che l'artista rivela tramite la sua arte. E li rivela grazie alla sua libertà ed alla sua umiltà, e cioè quell'umiltà che consiste nel lasciare che le cose siano, che le cose si manifestino senza giudizio, senza controllo razionale, senza forma; quell'umiltà antica dei poeti, i quali non pretendevano di essere gli autori delle loro opere, ma semplicemente dicevano che erano stati ispirati dalle muse. E così il Borotto lascia che l'opera sia, che l'opera si manifesti così come si deve manifestare. Il Borotto lascia che l'istinto, l'adrenalina, la sua visceralità, la sua essenza innata si manifestino liberamente, e registra questa manifestazione sulla carta. I segni sulla carta altro non sono che l'istinto del Borotto.

La composizione del quadro, i movimenti istintivi delle mani sono nella pittura del Borotto un momento molto importante; la composizione stessa del quadro diventa un momento espressivo, quasi una danza che coinvolge l'artista, una danza in cui l'artista esprime le sue parti inconsce ed irrazionali, come fosse in un antico rituale; la tela in questo senso non è altro che la registrazione della danza dell'artista, della gestualità e del movimento dell'artista. Ed ecco che così il tempo diventa una componente delle opere del Borotto, in quanto nel dinamismo delle linee è presente il tempo del movimento, il tempo in cui la mano dell'artista si è mossa. È certo poi che nelle composizioni del Borotto non è tutto casuale, ma alla spontaneità della composizione si unisce l'oculata mano dell'artista esperto, dell'artista che conosce come compiere al meglio un'opera.

È così ecco che il Borotto grazie alla sua pittura informale spalanca le porte al nuovo, riesce ad accedere al mondo nuovo che si profila all'orizzonte, quel mondo senza forme, senza moralismo, quel mondo dove la vita è vissuta senza costruirci sopra sovrastrutture e castelli di senso, monti di significato. L'informale del Borotto è coraggioso, è un acido che corrode le forme, le convenzioni e l'ipocrisia, che corrode le convenzioni, e lascia spazio all'essenza, al primitivo, all'ancestrale, al veritiero.

Il Borotto in queste opere usa due mezzi espressivi, la linea e la macchia. La linea in queste opere è potente, decisa, tesa, come fosse un nervo, come fosse un tendine che attraversa la carta dandogli tensione, dinamicità, in qualche modo costringendo e stringendo la carta; altre volte la linea è più essenziale, più elegante ed assume la profondità del simbolo, del significante, della lettera; la macchia invece è ottenuta con la tecnica della slavatura ed è quindi causata dal defluire dell'acqua e per questo possiede la profondità e l'abissalità dell'acqua, dell'oceano; nella macchia si può fluttuare, si può navigare; le macchie del Borotto paiono stagni dalle profondità immense, pozzi che si aprano nella carta, sorgive che sgorghino dalla carta.

Lo stile del Borotto è molto originale e particolare. È uno stile scarno, povero, che si serve di pochi colori ( per quanto riguarda queste composizioni solo il nero ed in una soltanto il marrone); è uno stile preciso, con una componente grafica, ma allo stesso tempo è quantomai caotico, istintivo, abissale; la linea del Borotto è netta, pulita, talvolta rapida e dinamica, tesa, talvolta invece diviene più serena ed aulica, austera e seria. Talvolta lo stile del Borotto sembra esprimere lo spirito innovativo degli anni '70, lo spirito di libertà ed antiautoritario, e sembra di rivedere talvolta fra le tele del Borotto l'arte, i fumetti, le mode di quel tempo, la droga di quel tempo. Lo stile del Borotto è uno stile che può sembrare talvolta duro, talvolta cupo, quasi angosciante; uno stile da cui traspare un certo freddo, un freddo urbano, un freddo di città, un freddo che aleggia fra gli agglomerati urbani, che corre fra le pareti delle case scarne e scrostate; ma la pittura del Borotto entra nel buio della città, entra nelle atmosfere cupe, la pittura del Borotto entra nel freddo per dare conforto, per dare ristoro; la pittura del Borotto dà voce al freddo, dà voce alle sofferenze silenti, ai dolori taciti, da voce alla incomprensioni, cerca di comunicare l'incomunicabilità, mostra la solitudine; la pittura del Borotto non ignora le situazioni e le condizioni di dolore, ma le osserva, si avvicina a queste situazioni; ma in più dona comprensione, conforto ed amore a queste situazioni. Anche in queste opere talvolta pare trasparire sommessamente, ma talvolta, ad una più attenta osservazione, potentemente e irrefrenabilmente, il dolore e il sentirsi incompresi; traspare l'uomo che si sente costretto, che si sente avvinghiato fra i lacci del conformismo, delle convenzioni, fra le spire dell'ipocrisia; quell'ipocrisia che si veste d'oro, di gemme e di sorrisi, ma che non fa che desolare i cuori; traspare la sofferenza dell'uomo che si ritrova nel gelo dell'urbano, nella meschinità della vita borghese, traspare la smorfia dell'uomo di fronte al potere, di fronte ai troppi compromessi. Ed ecco che presto erompe il grido e lo sfogo di quell'uomo di fronte a ciò.

La pittura del Borotto è in cerca dell'autenticità, della libertà e della benevolenza; la pittura del Borotto non smette di insegnarci.        

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