L'universo unico delle città

03.04.2022

Riflessione: [L'universo unico della città]

La città si prefigura ai suoi abitanti come universo unico. È, ai loro occhi, il frutto di un progresso mentale e tecnologico. Forse l'unico frutto.

Progresso

Riflettiamo insieme su questo concetto per trovare, insieme, le chiavi dell'umanità.

Nella nostra visione etero-occidentale la linea del tempo è retta. Si passa da un passato "indietro" "medioevale" "superstizioso" e "violento" ad un futuro più "giusto" "razionale" e "vero".

Così:

Peggio Meglio

Ma siamo sicuri che sia così? Che la natura delle cose segua questa legge "scientifica"? Che la storia sia un processo così superficiale?

No.

Il punto, lo scopo, di questo breve saggio è far riflettere sulla concezione lineare del tempo, e su come essa sia superficiale ed infondo sbagliata. La anteporremo ad una concezione del tempo più giusta: rappresentabile con una forma geometrica (1), o meglio una forma mentis (2) più idonea a comprendere la vera natura delle cose, che potremo rappresentare così: la ciclicità: Il tempo è circolare (1), il tempo è ciclico (2).

Il tempo si configura alla nostra "anima" al nostro "esserci" come ciclicità infinita. È infatti il simbolo dell'infinito il modo più idoneo a mostrarlo. Ogni ciclo può essere pensato come una fase della nostra vita. Sono queste, infatti, che scandiscono il tempo: che non è più una grandezza oggettiva, ma è soggettiva: diviene tempo proprio. È il tempo di ognuno ciò che conta, e ciò di cui ognuno ha esperienza.

Il tempo dice anche la scienza, varia in base al sistema di riferimento: l'unico sistema di riferimento che abbiamo è il nostro: il nostro tempo proprio.

Ed il nostro tempo proprio è scandito dagli eventi (sfide) che di giro in giro (nella ciclicità) riusciamo a superare.

Un tempo questi eventi erano oggettivizzati ed esemplificati nei rituali di passaggio dall'infanzia all'età adulta (vestizione della toga virilis) e dai numerosi riti religiosi (battesimo: infanzia - matrimonio: età adulta - funerale: morte/fine). Ma tutti questi riti, tutte queste cerimonie erano simboli di passaggio dalla prima sfera alla seconda; dalla seconda alla terza e così via per la rete infinita di una catena.

Nei cicli ritualizzati, questo passaggio era obbligato e magari non maturato dal singolo soggetto (quanti si sono sposati anche se internamente ancora infantili). Ma, in questa sede, è importante capire che queste cerimonie erano simboli di passaggio, solo simboli magari, non effettivi, ma andavano ad indicare un'antica coscienza umana: di un'umanità remota ed ancestrale che era più vicina alla verità.

E così oggi, senza più riti, ci è più facile riuscire a sperimentare il passaggio da una sfera all'altra come:

vera maturazione interiore. Certe cose, certi eventi ci accorgiamo di affrontarli e superarli veramente solo in certi attimi della vita. Se ci tentiamo prima, soventemente, non riusciamo nemmeno a vedere il problema, anche se, col senno di poi, questo ci risulti così scontato e naturale. È perché prima continuavamo a ruotare nel nostro ciclo: nella nostra sfera; e solo in concomitanza di una vera maturazione della nostra coscienza possiamo individuare il problema e superarlo, accedendo ad un livello di consapevolezza superiore (sfera successiva).


Alla fine del nostro tempo proprio ci si rivela un sottile filo: la trama che ha condotta la nostra esistenza: il nostro giro di giostra.

Così possiamo cancellare i cerchi, gli eterni giri all'interno di problemi, ricordandoci solo le soluzioni e gli episodi della nostra maturazione, rendendo i cerchi solo dei semicerchi (superiori se siamo maturati ed inferiori nel caso contrario) che se uniamo gli uni agli altri otterremo un ciclo. Ed il simbolo adoperato è quello sovrastante: il ritmo della vita.

Dunque, il progresso non si prefigura più come linea orizzontale oggettiva e comune a tutti gli enti (poveri animali sennò, che orrido progresso! ma nemmeno a tutti gli uomini) perché ognuno ha un: tempo proprio.

Non esiste l'oggettività nel reale.

La città si prefigura ai suoi abitanti come universo unico. È, ai loro occhi, il frutto di un progresso mentale e tecnologico. Forse l'unico frutto.

Città

In un'accezione ciclica del tempo, come abbiamo esposto sopra, non vi sarebbe più uno sviluppo lineare della temporalità: la città non si inscriverebbe più totalmente nella linearità di un progresso logico scientifico.

Le popolazioni umane del globo han sperimentato nella loro storia ritmi ciclici di accentramento: più o meno consistenti. Questi avvenivano in concomitanza con la grande civiltà che han dato vita alla storia. Avvenne in Mesopotamia, a Roma ed avviene oggi nel mondo globalizzato.

L'accentramento delle popolazioni in un unico universo di senso è un fenomeno eterno. Non è una novità del nostro tempo moderno. Le popolazioni lasciano il proprio territorio, la propria terra per trovare senso nelle città.

Il distacco, soventemente (specie nelle zone povere), è frutto di espropri, che molto spesso coincidono con rivoluzioni popolari. Ma una caratteristica comune, nella maggior parte dei casi, è la volontà di trasferirsi in città per trovare un senso al proprio esserci. Nella città troviamo un tempo, un lavoro, uno scopo, un progresso e un'infinità di idee astratte che possono popolare la nostra psicologia.

La vuotezza psicologica; l'assenza di aggrovigliamenti interiori dei soggetti in rapporto (più o meno) armonioso con la natura, nella modernità, complice l'alta mobilità delle persone, le comunicazioni onnipervasive, la tecnologia, e la polarizzazione commerciale portano a inevitabili contatti che creano altrettante inevitabili brecce nel guscio interiore di ognuno di noi. Brecce che vengono psicologizzate dalla società.

Ed ecco nascere un richiamo; frutto di una paura indotta a cui si può sfuggire solo mediante la frenesia della città.

L'attrazione magnetica esercitata da questo meccanismo fa si che i flussi migratori alla città siano inevitabili.

Dunque, le città si popolano di manovalanza. Meccanismo che acuisce l'accentramento. Ma così come il tutto, anche la fisica del tempo è ciclica.

L'esserci, più o meno velocemente, matura in città. Sperimenta il disagio, la povertà, la stanchezza per il movimento e la vacuità del senso cercato. Così matura una volontà di distacco, di fuga, di riscatto: inizialmente (ad un livello più superficiale) nelle strutture della città, successivamente fuori da essa: nell'idillio della campagna.

Così, nel giro di diversi giri di giostra, si può notare aggregazione e disgregazione: la legge che governa il tutto.

Gente attratta dall'orizzonte di senso della città, se ne immischia, partendo soventemente dai più bassi meandri, per maturare, magari nel giro di diverse generazioni, fino a raggiungere una volontà di distacco e tornare nelle campagne più consapevoli.

Consapevolezza che, nel naturale movimento delle cose, nel giro di diversa generazione viene a sua volta persa, perché la memoria negli uomini è un muscolo debole, portando le nuove generazioni di umanità ad re-iniziare il giro di volta in volta.

Campagna Città

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